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Quando Lei Dice No

 
Come sarebbe a dire? Ma stiamo scherzando? Non può essere, suvvia... Ma sì, capisco... E' solo quel pizzico di resistenza iniziale che fa sempre. E' già successo anche le altre volte. Il piccolo scrupolo dell'ultimo momento, niente altro che un contentino per la sua coscienza, per poi lasciarsi andare e scatenarsi come al solito. Devo solo insistere un po'. Guardarla negli occhi, parlarle, abbracciarla, toccarla, e tutto andrà per il verso giusto.

Niente da fare. Non cede. Ma allora fa sul serio? Vuole davvero mandarmi in bianco?

No, non riesco a crederci. Forse desidera solo un po' di maniere forti per sbloccarsi. La conosco bene. Anche se non è l'unica con cui ho avuto modo di fare qualche giochetto sadomaso, poche quanto lei hanno una predilezione così spiccata per certe "delicatezze". Se la prendessi a sberle, qui e subito, avrebbe le mutandine fradicie in un amen. Matematico. E ho già pronto un bel repertorio di cosine piccanti da farle, e da farle fare, per passare poi le successive tre o quattro ore. Per assecondare al meglio i suoi gusti. E ovviamente i miei.

Ma non posso davvero prenderla a sberle se continua a dirmi di no, cribbio! Sono pronto a maltrattarla in ogni modo umanamente immaginabile, e anche qualcuno in più, ma deve essere consenziente. C'è un limite che non posso superare, anche se avessi la certezza assoluta che in fondo è proprio quello che vuole. E poi, maledizione, questa stanza d'albergo confina con la reception. E' un alberghetto del cazzo ricavato su un piano di un palazzo, che deve le sue tre stelle esclusivamente al fatto di stare in zona centrale. C'è solo una parete sottile a proteggere la nostra privacy, e sono sicuro che abbiamo già fatto abbastanza rumore da far intuire a chi sta dall'altra parte cosa stia succedendo qua dentro. Quindi provarci con le cattive è fuori discussione. Il portiere mi ha anche guardato male quando l'ho seguita in camera. In fondo la stanza l'ha presa lei, per una sola persona, e io di fatto non sono un cliente, sono solo un intruso. Se sente qualche urlo strano c'è il rischio che chiami il 113. Ci sarebbe da ridere!

E allora? Allora continuo a provarci "con le buone", cos'altro posso fare? Anche se il mio inseguirla in questa decina di metri quadri di stanza sta diventando sempre più ridicolo. Mi avvicino, cerco di afferrarla, lei mi respinge con le braccia, si allontana, si siede su un lato del lettone, io cerco di sedermi al suo fianco, lei rotola leggiadra dall'altro lato, io mi scapriolo per cercare di restarle vicino, lei si alza e inizia l'ennesimo periplo... No, dai, cazzo, basta! Sembriamo Tom e Jerry in un cartoon d'annata!

Mi fermo, a distanza di sicurezza. Lei mi guarda coi suoi occhioni intensi e indecifrabili. Respira con un po' d'affanno. E' seduta su una sponda del letto, gambe accavallate, col busto girato verso di me, pronta a scattare se faccio ancora l'atto di avvicinarmi. E' persino sexy in questo suo atteggiamento da preda braccata. Porta un vestito grigio scuro, abbastanza castigato nel colore e nel taglio, ma generoso con la scollatura che è piuttosto audace per la stagione. Sotto, un paio di calze dello stesso colore funereo. Sono riuscito a sbirciare abbastanza da accorgermi che non sono collant, ma un paio di autoreggenti. Mi scalda il sangue pensarci, invece devo restare calmo. Mostrarmi calmo. Schizzo calma incandescente da tutti i pori.

E va bene. Proviamo a parlarne, anche se dubito che così le cose possano andare meglio. Sì, è vero, glielo concedo: me l'aveva ripetuto tante volte questi ultimi giorni. Che lei veniva, ma non era sicura. Che avrebbe deciso all'ultimo momento. Che non dovevo dare per scontato che avrebbe voluto fare di nuovo le cose che avevamo fatto insieme le altre volte. E io le avevo detto che, ovviamente, era libera fino all'ultimo di ripensarci, che rispettavo i suoi dubbi e le sue incertezze, che non doveva sentirsi "impegnata" in nessun modo. Ma è normale. Si dice sempre così. E' giustissimo farlo, sono il primo a sostenerlo. Bisogna tener conto del desiderio del momento, della voglia del momento, dell'ispirazione erotica del momento. Non siamo automi, non basta far scattare meccanicamente un interruttore. Bisogna rispettare la poesia di una seduzione che non può certamente compiersi del tutto via email, o via telefono, anche con qualcuno che già conosci. Per questo è quasi un obbligo che formalmente la decisione ultima da parte di entrambi se "fare" o "non fare" venga presa all'ultimo momento. Tutto sacrosanto. Ma poi però, cazzo, si scopa. Bisogna anche essere pratici, a questo mondo. Non è che se oggi non va, pazienza, ci rivediamo domani e scopiamo domani. Viviamo a centinaia di chilometri di distanza. E poi quando ricapita un'occasione così ghiotta? Lei che viene a Roma per un corso di formazione, con tanto di viaggio e doppia-uso-singola in albergo pagata dall'azienda?

Tutto questo me lo tengo per me, naturalmente. Mica puoi fare discorsi del genere ad una donna, meno che mai in un frangente simile. Tocca ascoltare i discorsi che fa lei. Meglio lasciarla parlare, senza nemmeno rispondere. Tanto ormai le cose si sono messe male, e credo proprio che non le rimetto in piedi nemmeno con la gru. La sua caratteristica "r" arrotata risuona tra le pareti. Dà un irresistibile tocco snob alla sua voce. Sentirla dire porcate con quella "r" ("ti prego, trattami come una lurida troia...") mi arrapa da pazzi. Ma in questo momento ahimé, sta dicendo cose di senso assolutamente opposto.

"Non hai idea dell'imbarazzo che sto provando... E' un momento terribile per me..."

Come se invece io mi stessi divertendo...

"Ti assicuro che non sono venuta a Roma con l'intenzione di dirti di no..."

E ci mancherebbe pure...

"Credo di aver deciso dopo averti visto, mentre ero con te prima di venire qui in albergo..."

Ah sì?? Bella notizia! Davvero ho avuto un crollo di questa entità dall'ultima volta? Oh, cazzo! Mi si sono azzerati del tutto il fascino e il magnetismo animale? Buono a sapersi! Queste sono davvero le cose che ti rallegrano la giornata!
Io invece pensavo tutto l'opposto. Pensavo che quelle due ore ad accompagnarla in giro per i negozi tra Corso, via Condotti e via del Babuino, fossero state utili per scioglierla, per farla sentire a più a suo agio con il sottoscritto. Ero sicuro di esserci riuscito. I segnali erano tutti positivi. Era tranquilla, mi sorrideva, scherzava. Si vedeva che stava bene con me. Anche il sottile credito psicologico che avrei dovuto guadagnare accompagnandola con sovrumana pazienza nello shopping, con tutto il corredo di estenuanti code prenatalizie, avrebbe dovuto giocare a mio favore. Eppure...

"Ti ho già parlato della crisi che ho attraversato con mio marito... Sono stati momenti da incubo... Ma poi ne siamo usciti... insieme... E... vedi... io ho deciso di crederci in questo matrimonio... Per me lui è tutto, anche se le cose tra noi adesso sono un po' cambiate..."

Vabbè, ma che cazzo c'entro io?

"Già un mese e mezzo fa ero intenzionata a chiuderla del tutto con te... a rompere tutti i contatti... Te l'ho anche scritto, ricordi?... Ma poi... hai visto, no? Non ce l'ho fatta... E già questo mi ha messo parecchio in agitazione... Pensavo di poterti cancellare dalla mia vita in qualsiasi momento, e invece mi ero illusa... Non ce la facevo proprio a sopportare l'idea di perderti... Poi c'è stata questa occasione improvvisa di questo corso a Roma... Mi è sembrato un segno del destino... non potevo fare a meno di dirtelo, di farti venire alla stazione a prendermi, e poi di accompagnarmi qui..."

E allora? Cogliamola questa occasione, no? Che aspettiamo?

"Vedi... io ho provato a convincermi che tu fossi solo un divertimento... una trasgressione saltuaria... Un modo per vivere certe mie tentazioni, certe mie perversioni, che non potrei sfogare altrimenti... Una persona che vive lontano, con cui fare qualche porcheria ogni tanto, niente di più... E invece..."

E invece?

"...Mi sono accorta che non è così... Oggi, da quando ti ho rivisto... e poi per tutto il tempo che siamo stati insieme... Mi sono resa conto che mi sento troppo legata a te. Mi è tornato in mente, più vivido che mai, il ricordo delle altre nostre volte insieme... E' stato troppo bello quello che mi hai fatto provare... Nessun uomo potrà mai darmi quello che hai saputo darmi tu..."

E allora, cazzo? Siamo soli, in una stanza d'albergo, senza un cazzo da fare fino all'ora di cena...

"Non posso fare nulla con te. Cerca di capire. Non posso... ricaderci ancora, capisci? Come potrei essere davvero felice con mio marito se tu continui ad esserci in questo modo, per me... Se continui ad assorbire i miei pensieri, i miei desideri, le mie fantasie... Sei troppo pericoloso per me... per la mia vita..."

Sento l'esasperazione salirmi alle stelle e le tempie pulsare selvaggiamente. Ora basta, che cazzo! Per l'ennesima volta la stessa storia, e quasi con le stesse identiche parole. Non ce la faccio proprio più. Andare in bianco già è dura di per sé, ma ogni volta tutte quante con questa stessa tiritera... diventa una beffa insopportabile. Troppo bello, troppo buono, troppo intrigante, troppo che-ci-sa-fare-a-letto, troppo importante-per-me, e quindi non te la danno. Non è una consolazione, questa. E' una presa per il culo all'ennesima potenza. Basta!

Non voglio nulla dalle vostre vite, lo capite sì o no? Siate felici ovunque voi siate, con i vostri mariti, fidanzati, o quello che sono. Ve lo auguro di cuore. Non voglio nulla da voi. Se non uno spicchietto di fica ogni tanto. Facendo a mia volta del mio meglio perché la cosa risulti gradita anche a voi. E poi ce ne torniamo alle nostre esistenze distanti. Il tutto senza sconvolgere niente, senza disturbare, lasciando tutto esattamente come l'ho trovato. O forse addirittura meglio. Non ho mai preteso cuori infranti e sanguinanti per me, che diamine! Mi basta e avanza quel minimo di affettuosa amicizia che ti permette di goderti meglio l'intimità erotica. Non chiedo altro. Sono io semmai che tendo ad affezionarmi più di quanto dovrei, porca pupazza, e ci rimango di merda quando poi mi segate via dalle vostre vite (o almeno ci provate) con due righe in mail o con uno straccio di sms. "Perché se sento la tua voce, so già che non ce la faccio..." Appunto, troppo bello, troppo buono, troppo tutto, e non solo vado in bianco, ma mi becco pure il "vaffanculo per sempre", e nel peggiore dei modi.

Perché di questo si tratta, anche in questo momento. Non sono di fronte a un "ti prego, non oggi, ho il mal di testa". Questa qui mi sta liquidando in toto. Ed è il vaffanculo peggiore che un uomo possa mai immaginare di ricevere. Farti venire in albergo, che tutto giulivo ti pregusti svariate ore di sesso selvaggio e piccante con una fica notevole. E poi recapitarti il due di picche e il benservito nella stessa busta del cazzo. Bisogna essere proprio perfide. Proprio stronze. La rabbia mi monta sempre di più. Ora gliene dico quattro a questa zoccola e me ne vado sbattendo la porta.

Aspetta! Fermo! Che fai? Riflettici un attimo. Dirgliene quattro va bene, sbattere la porta va bene, e poi? Cosa ti aspetti di trovare lì fuori? Il portiere che ha sentito tutto e ti omaggerà di un bel sorriso beffardo per l'inculata che hai preso? Che gusto, eh? E poi? Cazzo t'inventi fino a stasera? Torni a casa? A passare il tempo a rimuginare su quanto sei sfigato ultimamente? Che non riesci a scoparti una, nemmeno dopo essertici chiuso in camera in albergo? E poi, dico, mica "una" qualsiasi... proprio lei, una di quelle su cui per qualche misteriosa ragione il tuo discutibile appeal sembrava funzionare al meglio...

No, cazzo. Non se ne parla. Non posso uscirne così. Entro in depressione dritto come un missile. Devo cambiare atteggiamento. Il trucco è sempre lo stesso. Devo fregarmene di me stesso, piantarla di compiangermi. Pensare a me, al mio rodimento di culo, è un lusso che non mi posso concedere. Devo concentrarmi su di lei, sulle sue emozioni, sul suo momento, sui suoi tormenti interiori. Faccio un bel respiro profondo e ci provo. La guardo.

Poverina. Ha gli occhioni spalancati e mi fissa come se stessi per esplodere da un momento all'altro. Si aspetta come minimo una sfilza di insulti urlati a squarciagola. In fondo non deve essere facile nemmeno per lei. Devo ammettere che c'è una qualche logica in quello che mi ha detto. In un certo senso la capisco. Dal suo punto di vista non mi sta mandando in bianco. Non sta respingendo un corteggiatore molesto. Sta lottando con tutta se stessa per resistere a una tentazione tremenda. Che poi sarei io. Potrebbe perfino essere lusinghiero, se non fosse che il risultato alla fine è sempre lo stesso. Non si scopa. Beh, se proprio deve andarmi buca, cerchiamo perlomeno il modo di uscirne a testa alta.

Frugo disperatamente nelle tasche della mia anima, fino a trovare in qualche recondito anfratto un sorriso stiracchiato e spiegazzato. Lo indosso. Non è un granché, ma non ho di meglio. Le sorrido, più o meno. Riesco persino a parlarle con voce dolce, profonda, da doppiatore. Lei strabuzza gli occhi incredula.

"Ti capisco sai? So cosa stai passando in questo momento. Non è stata una scelta facile la tua. Sei stata forte e coraggiosa. Capisco benissimo la tua situazione, e ho il massimo rispetto per la tua decisione. Anzi, in un certo senso ti ammiro..."

Mi guarda come se mi fossi messo a parlare in curdo. Io continuo, sempre tranquillo e sereno. Comprensivo. Superiore.

"E' già da un po' che sapevo di rischiare di perderti. Mi hai già detto dei tuoi problemi. So che ti dispiace tanto quanto dispiace a me. Non posso che accettare serenamente tutto questo. Anzi devo dire che alla fine è molto meglio che le cose siano andate in questo modo. Così prima di perderci per sempre abbiamo avuto l'occasione di vederci di nuovo. Ci tenevo. Ma era naturale che potessi non sentirtela, oggi pomeriggio. Va benissimo così. Sono felice di poter passare un po' di tempo con te per l'ultima volta, anche senza... anche se non... insomma, senza fare niente. Dico davvero. Stasera andremo a cena insieme, come avevamo previsto, e..."

"Non verrò a cena con te..."

"Che cosa??" In un attimo tutta la tranquillità e la serenità sono evaporate. Il mio sorriso torna ad essere una cartaccia spiegazzata in un angolo del pavimento.

"Perdonami, ma non me la sento..."

"Eh no, che cazzo! Non è giusto! La cena insieme me l'avevi garantita! Sul resto dicevi di essere insicura, ma sulla cena..."

"Perdonami, ma proprio non ce la faccio. Non mi sento a mio agio con te. Sono troppo in imbarazzo... Mi sento in colpa..."

"In colpa di cosa? Ti ho detto che ti capisco, che rispetto la tua decisione, che va bene così... cosa devo dirti di più??"

"Non ce la faccio... E poi non ho fame... Mi si è chiuso lo stomaco..."

Ma che diamine! Cazzo di Budda! Manco la cena insieme! Non è possibile!
Disperato, ne provo un'altra.

"Ascolta. Senti cosa facciamo adesso. Domattina hai il tuo corso. La sede è qui vicino, saranno massimo trecento metri. Hai visto il posto esatto sulla mappa, ma sai bene che Roma la mattina è caotica, e non ci vuole niente a perdersi. Facciamo due passi e andiamoci insieme, così impari la strada e domani lo ritrovi meglio. Che ne dici?"

"No... ti prego... lasciamo stare... te l'ho detto che non mi sento a mio agio..."

Sento l'istinto di dare la testa contro il muro.

"Ma ti sentirai sicuramente più a tuo agio a stare con me per strada, in mezzo alla gente, piuttosto che restare qui da soli in una camera da letto, no?"

"Cosa vuoi dire? Io... Pensavo che te ne stessi per andare via..."

"Non ne ho la minima intenzione. A meno che tu non voglia sbattermi fuori. Mi stai sbattendo fuori?"

"No... questo no..."

"E allora io resto qui. Anche fino a mezzanotte. Tanto non ho un cazzo da fare..."

C'è una nota di acciaio nella mia voce, e lei sembra esserne impressionata. Non può sapere che per me uscirmene da solo da quella porta significherebbe una frustrazione immensa. Sarei pronto a farmi squartare vivo, piuttosto.

* * * * *

Non sono per niente sicuro che mi vada ancora.
 

E dire che ero uscito con lei dall'albergo con una specie di assurdo senso di trionfo. Non solo ero riuscito a smuoverla da quella stanza maledetta dove era intenzionata a starsene rintanata fino a domattina, evitando così la gogna umiliante dell'uscita di scena da solo, con le pive nel sacco. Ero persino riuscito a strapparle, con le unghie e coi denti, il consenso per la cena insieme. Non dove volevo portarla io, però, ovvero in quella trattoria a Testaccio che conosco bene. Dice che non se la sente di venire in macchina con me. Mica la capisco, questa qui. Ha paura che la violenti in macchina, dopo che siamo stati tutto quel tempo da soli in una stanza d'albergo? Comunque vabbè, non ho insistito su questo dettaglio. Facciamo come dice lei, mangiamo qualcosa qui in zona.

Però non sono per niente sicuro che mi vada ancora. Anzi ad essere sincero mi sono del tutto scoglionato di questa situazione del cazzo. Questo due di picche non l'ho proprio digerito. Insiste a tornarmi su e ad ammorbarmi l'umore. E poi, diciamolo, mi sono scoglionato pure di lei. Mi tratta in modo gentile, ma anche fastidiosamente sussiegoso. Anche mentre camminiamo cerca ostentatamente di tenersi a distanza di sicurezza, ed è un comportamento che mi torna piacevole quanto una tarantola nelle mutande. Per non parlare di questa perfida espressione compiaciuta sul viso che proprio che non riesce a nascondere. Come se aver saputo mandarmi per farfalle le dia una cazzo di gustosa soddisfazione. La cosa mi risulta alquanto urticante. Sono stato mezz'ora a implorarla di concedermi la cena insieme per ottenere cosa? Una serata di implicita presa per il culo insieme alla signora mi-stia-alla-larga-prego? Perdipiù mangiando verosimilmente da schifo in uno di questi localacci qua intorno, in zona stazione, fatti apposta per avvelenare e rapinare americani, tedeschi e giapponesi? No, lasciamo stare. Davvero non è aria.

Stasera c'è pure la partita in tv, cazzo! Quasi me lo dimenticavo. Ero pronto persino a sacrificarla per lei, pensa che stronzo. Ma non certo a queste condizioni, ah no. Se mi muovo subito me la vedo tutta dall'inizio. Riesco persino a organizzarmi la cena. Certo non trovo aperto Enrico, il mio macellaio di fiducia, ma posso deviare su quel supermercato in zona Casilina dove un paio di costate argentine decenti le rimedio di sicuro. Me le sdraio sulla piastra arroventata e in cinque minuti ho risolto. Poi poltrona e partita in sedici noni, alta definizione, con doppia birrozza da 66 (una per tempo) e bustona da mezzo chilo di pistacchi tostati per coccolarmi e gratificarmi un po'. Anzi, facciamo un chilo, per sicurezza. Vai così, e questa stronza mi dimentico persino che esista.

Ecco, è proprio il momento giusto. Finita la missione esplorativa, siamo tornati davanti al portone dell'albergo. Mi guarda interrogativa, come se volesse chiedermi da che parte andiamo ora. E io invece la canno qui e me la colgo. Devo solo trovare un modo per scaricarla. Verrebbe facile un bel "vaffa", ma ho fatto il signore fino ad ora, posso anche chiuderla con classe. Ha fatto tante di quelle storie per accettare di stare a cena con me, no? Ebbene ora le concedo signorilmente di affrancarsi dall'obbligo di sottostare a tale atroce supplizio e me la filo via da vero gentleman.

"Voglio farti una domanda, ma devi promettermi di essere sincera..."

"Dimmi pure!" risponde, non nascondendo un pizzico di curiosità.

"Ma a te va davvero di cenare con me?"

Ora mi ride in faccia. Oppure mi manda a quel paese. Quel "ti va davvero" è proprio stonato. Ancora risuona nelle mie orecchie, e sicuramente anche nelle sue, il laborioso tira-e-molla di prima, dal quale ero uscito faticosamente vincitore, non risparmiando lusinghe né minacce. Ed ora le chiedo "ma ti va davvero", come se l'avesse proposto lei. E' quasi ridicolo. Ora mi ripeterà per l'ennesima volta, come mezz'ora fa, che preferirebbe starsene per conto suo, che non ha nemmeno tutta questa fame, che non si sente particolarmente a suo agio con me, eccetera.
E io a quel punto, con superba dignità, con un piglio di aristocratica compostezza, le dirò che non è giusto forzarla, che la ringrazio comunque per la disponibilità ad accontentarmi, ma non avrebbe senso né sarebbe carino obbligarla, e così me ne fugg...

"Certo!" La sua "r" fa vibrare l'aria freddina della sera.

"Come hai detto, scusa?"

"Certo che mi va di cenare con te. Io sto benissimo quando sto con te, e lo sai..."

Sono spiazzato. Dalla risposta e dal sorriso caldo e cordiale che mi fa mentre mi guarda con i suoi occhioni scuri. Cambiano del tutto i miei programmi. Ma tutto sommato mi accorgo che non mi dispiace troppo. Sembra che l'atmosfera tra noi sia ora diversa. In fondo si tratta di passare la serata con una bella fica che ha piacere a cenare con me. Detta in questo modo, ed evitando di pensare a tutto il resto, non suona nemmeno malissimo.

* * * * *

"Nemmeno il pesce? Né la carne, né il pesce?" le chiedo mentre il cameriere si allontana dopo aver annotato le ordinazioni.

"Nemmeno il pesce. Sono vegetariana. Credevo lo sapessi..."

"Eh, ma devi stare attenta... Quando è così si rischia di ingozzarsi di farinacei a pranzo e a cena tutti i giorni... Troppi ne conosco di vegetariani che si sono inquartati come balene..."

Lei sorride. "Vuoi sottilmente farmi capire che mi hai trovato un po' più tortella?"

Ma è pazza? Si rende conto che mi sta offrendo su piatto d'argento la possibilità di vendicarmi di quello che mi ha combinato nel pomeriggio? Basterebbe una battutina per massacrarla... Però non ce la faccio. Si è creato un bel clima tra noi e non voglio rovinarlo. E poi farei la classica figura da volpe con l'uva. Sono stato un'ora a rincorrerla in quella stanza d'albergo, come se fosse l'ultima fica rimasta in tutta la galassia, con che faccia potrei darle ora della chiattona? Tra l'altro non è nemmeno vero. Però non posso nemmeno fargliela passare del tutto liscia.

"Beh, mi sembra che qualche chiletto, rispetto all'ultima volta, l'hai messo su. Però sei fortunata ad averli messi nei punti giusti. Non stai male, anzi. Un po' di carne addosso a una donna ci sta bene, per i gusti miei."

Sorride lusingata e ricambia. "Tu invece devi essere dimagrito. Ti trovo piuttosto in forma..."

"Ho perso sette o otto chili, a settembre scorso..." rispondo, senza particolare espressione.

"Ma va? E come mai? Hai fatto una dieta?"

"No, nessuna dieta. Ho solo preso ad usare meno la macchina e più spesso la metro... il gasolio era andato a un euro e mezzo..."

Mi guarda scettica. "Otto chili in un mese? Per la metro?"

"No... La verità è che ho passato un momento difficile. Ho avuto dei problemi.... per via di una donna..."

E' sorpresa e interessata. "Davvero? E cosa è successo?"

La guardo negli occhi. "Voleva farmi fuori dalla sua vita. Era troppo legata a me, ero troppo importante per lei, ma usciva da una crisi sentimentale e non riusciva ad essere pienamente felice con il suo uomo se non chiudeva ogni contatto con me."

Esita un attimo. "Mi stai prendendo in giro?"

"Ti sembro uno che sta scherzando?"

Digerisce l'informazione per qualche secondo. Poi mi chiede, a voce bassa.

"Ci hai... ci hai sofferto molto?"

"Ho perso otto chili... Ma forse anche perché ho preso di meno la macchina..."

Mi guarda seria. C'è una specie di strano rispetto nei suoi occhi.

"E poi? Come è finita con lei?"

Malissimo. Ma non rispondo. Prendo la bottiglia del vino e verso nel bicchiere.

"Lei ci è riuscita a rinunciare del tutto a te?" insiste.

"Cambiamo discorso, dai..."

Sembra rifletterci su. Poi, come seguendo un suo pensiero, mi fa: "Scusami, posso farti una domanda? Ma a te... chi te lo fa fare? Voglio dire, metterti sempre in queste situazioni..."

"Qualche volta uno spicchietto di fica si rimedia, mica mi va sempre male come oggi..." le rispondo, con impertinenza.

Lei non sorride. Sembra quasi non avermi sentito. "Certe volte non so se ammirarti o detestarti, sai? Nessun altro è riuscito quanto te a farmi sentire... come dire... amata, desiderata, importante... compresa... Certe volte sembra che mi sai leggere dentro meglio di chi mi vive a fianco da oltre dieci anni... e questo vale sia fuori del letto che a letto. Ci metti passione, ci metti trasporto. Non potrei chiederti di più. E sai che non ho mai preteso l'esclusiva. Ho sempre saputo che vedevi anche altre. Però, dico, come fai? Come fai a essere... a essere tutto, con tutte? Non potresti scopartele e basta, come fanno tutti gli altri? Senza amarle tutte... senza starci male... Quante altre ce ne sono?"

"Ma cosa dici...? Quali altre...?"

"Detesto questo tuo essere... così di tutte. Non ti neghi a niente e a nessuna. Non dici mai di no a nessuna. Certe volte mi chiedo cosa tu voglia dimostrare... Non fraintendermi, non è una scenata di gelosia, questa. Per me puoi continuare a scopartele tutte, ma... dico... scopatele e basta! Che senso ha metterci l'anima ogni volta? Lo dico anche per te..."

Abbasso gli occhi. Esito. Mi sfugge un leggerissimo sospiro. "Cambiamo discorso, dai..."

* * * * *

"Sai, oggi mentre eravamo in albergo e ti dicevo di no...."

Ancora? E' la quarta volta stasera a cena che appena la conversazione lo permette lei torna a quei momenti in albergo. Ma non dovrebbe evitare l'argomento? Non dovremmo far finta di niente? Non è motivo di imbarazzo per entrambi? Questa volta però la interrompo e glielo faccio notare.

"Insisti a parlare di oggi in albergo... Secondo me sotto sotto, anche se non lo ammetteresti mai, in quei momenti hai provato piacere. Un po' per l'intensità emotiva del momento, un po' per il dolore che infliggevi a te stessa con la rinuncia, un po' per un pizzico di gusto sadico nei miei confronti."

Mi guarda in silenzio, con uno sguardo strano. Il discorso la intriga.

"E anche perché comunque tutto quello che succede tra noi due ha sempre un risvolto erotico. Tu ed io comunichiamo quasi esclusivamente su quel piano. Anche adesso, quando insisti a parlarmi di quei momenti, ne trai una perversa eccitazione. Ma soprattutto oggi, in albergo, sono stati momenti ad altissima intensità erotica. Anche se non ci siamo quasi nemmeno sfiorati. Tra noi due anche un rifiuto, anche una rinuncia, anche respingerci, diventa sesso. Sembra assurdo, ma tu sai che è così."

Devo aver colto nel segno. Si versa ancora del vino, anche se sa che non lo regge bene. Io continuo.

"Lo sai che più tardi devo tornare in stanza da te, no? Ho lasciato lì la mia borsa. Pensa: potrei darti ancora la possibilità di goderti l'eccitazione di dirmi di no. Sarebbe come un regalo d'addio. Oppure potrei fare il cattivo e negarti il divertimento. Ancora non ho deciso cosa farò. Ci sto pensando."

Lei beve. Mi guarda. Beve ancora. Sembra allegra. La sua "r" particolare vibra ancora più del solito.

"Sono contenta di essere venuta a cena con te, sai? Non credevo che sarebbe andata a finire così, stasera. Pensavo che tu te ne saresti andato insultandomi e sbattendo la porta, lasciandomi tutto il tempo a pentirmene, a disperarmi, a sentirmi una stronza..."

"Sarebbe stata una reazione da deboli. Non sono quel tipo di uomo..."

"E che tipo di uomo sei?"

"Ci sono solo due tipi di uomini" rispondo. "Lo capisci se vai al bancone dei prodotti da barba in un supermercato. Vedrai decine e decine di schiume, creme, gel, pomate, di tutte le marche e di tutti i colori, ma alla fine si possono tutte dividere in due categorie di base. E sai perché? Perché ci sono solo due tipi di uomini..."

"E sarebbero?"

"Sarebbero 'barbe dure' e 'pelli sensibili'..."

"E tu? A quale delle due appartieni? Che tipo di uomo sei?"

Ma come sarebbe? Non si è capito? Ma no, ha capito benissimo. Sorride divertita. Vuole solo scherzare. Affero uno stuzzicadenti e lo stringo coi denti a un angolo della bocca. La fisso con uno sguardo che Clint Eastwood al confronto sembra il maialino Pimpi. Poi con l'altro angolo della bocca biascico lentamente la mia risposta.

"Rinfrescante al mentolo. Chiediamo il conto." Lei ride.

* * * * *

Si avvicina il momento difficile. La passeggiata nell'aria pungente ha smorzato un po' quel clima di allegria che si era creato al ristorante. Ma non dipende dal freddo. Stiamo per dirci addio per sempre, e non sarà facile. Per nessuno dei due. Siamo riusciti a non pensarci per un'oretta, ma ora la cosa incombe. Il portone del suo albergo si avvicina inesorabilmente. Eccoci arrivati. Non ho voglia di tirarla troppo per le lunghe. E non voglio altre situazioni imbarazzanti. Non mi va nemmeno di entrare con lei. Sento di odiare quell'albergo, e quella camera in particolare.

"Senti... non c'è bisogno che io salga con te... Forse è meglio che ti aspetti qui... Mi prendi la borsa, me la porti, e me ne vado..."

"Non dire cazzate..." risponde senza nemmeno guardarmi, e entra decisa nel portone. La seguo.

C'è un'altra persona alla reception. Una giovane donna. Non si scandalizza, anzi, sorride quasi compiaciuta quando mi vede seguire la cliente in stanza. No, signorina, mi dispiace deluderla, ma le cose stanno diversamente. Molto diversamente.

Appena dentro lei si libera del soprabito. Io invece, logicamente, resto intabarrato nel lungo cappotto blu, con tanto di sciarpa intorno al collo. Sono solo di passaggio. Siamo in piedi, l'una di fronte all'altro. Ci guardiamo. Lei ha l'espressione un po' triste. Gli occhi lucidi. Ma, cazzo, sento lucidi anche i miei. Non so bene cosa dire, ma qualcosa devo pur dire.

"Beh... è proprio arrivato il momento... vero?"

Lei non risponde. Fa un passo e mi abbraccia. Forte. Sentirmi quel corpo di donna addosso, dopo una giornata intera che ha sfuggito ogni contatto, mi fa un certo effetto. No, non "un certo" effetto. Proprio quell'effetto lì. Glielo dico, quasi sottovoce, in tono ironico.

"C'è qualcuno qui sotto che a sentirti così si sta svegliando. Non ha capito un cazzo della situazione. Ma ora sarà complicato spiegargli come stanno le cose..."

Lei sorride. Mi abbraccia ancora. Sembra che il suo bacino vada a cercare conferma di quanto le ho rivelato. Non credo che si senta nulla, con questo cappotto addosso, ma la cosa mi piace. E piace anche lì sotto.

Le nostre labbra si sfiorano. Una volta, due. Poi le sue mani mi afferrano la nuca e precipito nella sua bocca aperta, atterrando sulla lingua morbida. Cosa sta succedendo? Cosa devo fare? Mi sta apparecchiando un nuovo "no", ancora più bruciante? Il rischio c'è. Ma non mi sogno di respingerla. Mi piace troppo quello che sta accadendo. Con le mani l'accarezzo sul corpo, ma in modo discreto. La sfioro lungo le curve. Lei sospira.

"Continua, ti prego. Mi piace sentire le tue mani sui miei fianchi..."

L'accarezzo con più decisione. Ci baciamo ancora, poi con la bocca vado a stuzzicarle il collo, il lobo dell'orecchio. Lei non si ritrae. Non fugge. Respira forte. Oso ancora. La mia mano destra si abbassa oltre l'orlo del suo vestito e risale la coscia. Ma non riesce ad arrivare alla meta. Lei si è già gettata sul letto. In un attimo si toglie vestito, reggiseno e mutandine restando con le sole autoreggenti addosso. Si stende sulla schiena, apre le ginocchia.

"Ti prego scopami... scopami... scopami subito, prima che cambi idea..."

Ci deve essere un nucleo di perfidia che alberga in questa donna. Non si dice "Scopami subito prima che cambi idea" ad un uomo in piena tenuta invernale, con tanto di cappotto e sciarpa. Gli si dice "Ho deciso: voglio scopare. Abbiamo un po' di tempo, prendiamocela comoda, e godiamocela al meglio." E mi impongo di non pensare a quanto ce la saremmo goduta con tutto il pomeriggio a disposizione. Tanto se il finale doveva essere questo... Pensa: tre quattro ore al massimo grado della scala Mercalli della perversione. Poi a cena, ma "Al Bucatino", dove volevo andare io, e non in quel buco anonimo. Poi a quest'ora l'avrei riaccompagnata in camera per rimboccarle le coperte, per darle "il bacino della buonanotte", e sicuramente ci sarebbe scappata un'altra scopata, dolce e tenera, intensa, in contrasto con gli eccessi hard del pomeriggio. Si renderà mai conto di cosa si è persa questa pazza?

Ma mi impongo di non pensarci, e se mi impongo mi impongo. Ho già troppo imbarazzo nella situazione presente. Anche solo per riprendermi dalla sorpresa. E non fate quella faccia scettica, quel sorriso di sufficienza. Per voi lì fuori forse non sarà una sorpresa questo sviluppo della situazione. Ma voi avete letto "racconto erotico" nel frontespizio. Io invece è da oggi che leggo "giornata sfigata di merda" su ogni insegna che incrocio, e ormai non mi aspettavo certo che girasse così il vento. E comunque, sorpresa o no, c'è l'impaccio del momento. Lei che è sull'orlo di ripensarci per l'ennesima volta, o almeno dice di esserlo, lasciando capire che dovrei continuare a restarle attaccato, a toccarla, a stuzzicarla, a slinguazzarla, a dirle porcate, a mantenerla attizzata. Ma contemporaneamente mi devo liberare di una mezza dozzina di chili di indumenti, e anche in fretta.
 

Non ho grossa scelta. Mi spoglio. Senza perdere tempo, questo no, ma nemmeno affrettandomi oltre i limiti della decenza. In fondo se per forzare i tempi inciampo nei calzoni abbassati a metà e finisco spalmato sulle piastrelle del pavimento, o resto annodato come un salame nelle maniche della mia stessa camicia, non credo che sulla sua libido l'effetto sarebbe migliore di qualche secondo in più di attesa. Sì, lo ammetto, è un po' bizzarra come situazione. Lei se ne sta sul lettone, nuda con le autoreggenti, tette e fica al vento, a contorcersi, combattuta tra le pulsioni della passione erotica e i sensi di colpa. Tutta sola. Perché io sono accovacciato a vedermela col le stringhe dei miei scarponcini, con tutta l'attenzione, e non è proprio pochissima, che l'operazione richiede per essere effettuata con rapidità. D'altra parte senza slacciare le stringhe non riuscirei a toglierli. E per favore non voglio scopare con le scarpe. Né tantomeno impiccarmi a togliermi i pantaloni con tutte le scarpe. Fosse un film porno, risolverei col montaggio. "Scopami subito" e al fotogramma successivo i due sono nudi sul letto a scopare. Ma qui come fai?

Ah, peggio per lei. La colpa è sua. Lo sa bene che se lascia fare me questi impasse non capitano. Sono bravissimo a gestire i momenti, i dettagli, le interazioni, le atmosfere. Ha voluto fare di testa sua, e ora ne paga le conseguenze. E poi "Scopami subito". A me? Fossi il tipo da sveltine... Io sono uno che non dà il meglio prima della terza ora di sesso!

Via le scarpe, liberarsi dei pantaloni è un attimo. Ma pretendo di non lasciarli ammucchiati in terra, e li sistemo decentemente su una sedia. Torno ad avvicinarmi al letto per riprendere la svestizione. Per fortuna lei non resta a lungo lì ferma a fare la parte di Santa Teresa d'Avila in Estasi nella scultura del Bernini. Anche perché non mi ci vedo granché nella parte dell'Angelo. Si inginocchia sul letto e viene a darmi una mano con la cravatta e i bottoni della camicia. Non che così si vada particolarmente più in fretta, ma smettiamo se non altro di essere due monadi separate. Ci fermiamo ogni tanto per baciarci. Le accarezzo le tette, riempendomene piacevolmente le mani e sentendo il capezzolo puntare duro contro il palmo. Lei gradisce. Quell'improvvido "Scopami subito", così ultimativo e ansiogeno, smette di essere minacciosamente sospeso nell'aria e sfuma via. Le cose migliorano decisamente.

Intanto la mia camicia vola via. Resto con i soli boxer, maglietta e calzettoni. Tutto rigorosamente nero. Sì, è vero, non ci si dovrebbe mostrare ad una donna con la gamba nuda e i calzini. Questi ultimi dovrebbero, per decenza, sparire via dalla scena subito dopo le scarpe. Ma durante i mesi freddi questa regola va seguita con un pizzico di elasticità. E comunque non mi sembra che lei ci faccia troppo caso. Sembra molto più interessata dalla zona dei boxer. Li afferra selvaggiamente per l'orlo e li fa scorrere giù. Quanto basta.

Dico "quanto basta" perché appena il cazzo fa capolino fuori dalla stoffa, lei si disinteressa completamente di tutto il resto, lasciandomi coi boxer a mezz'asta. Invece si mette carponi sul letto e me lo prende voracemente in bocca. La sua avidità mi intriga, e combinata al piacere del contatto con le sue fauci morbide ha l'effetto prevedibile di portarmi rapidamente in spettacolare stato di grazia. Mugola deliziata alla sensazione della carne dura che si gonfia sempore più, riempendole la bocca. Mi chiedo se non sia il caso di prenderla per i capelli e sbatterle la testa su e giù contro il cazzo, come è prassi gradita tra di noi. Decido di lasciarla fare senza intervenire. Mi sta piacendo quello che sta facendo, e voglio godermi le cose come stanno. E' nella posizione "carponi invertita": a quattro zampe sul letto, ma girata dalla parte della testa. E' sempre stata una delle mie preferite per farmelo succhiare. La bocca è nell'angolazione giusta, e c'è anche un magnifico panorama del culo, visto dall'alto. Ha un gran bel culo, e lo assaporo con gli occhi.

La cosa non dura molto. Appena mi sente pronto, torna a buttarsi di schiena sul letto, a spalancare le gambe e a offrirsi, chiedendomi di scoparla "subito ti prego". E qui sento avvenire il solito sdoppiamento di anima che mi prende in certi momenti. La mia parte animale, ormonale, istintiva, grufola selvaggiamente e si affretta ad accettare l'invito. Ma la mia parte più analitica è vagamente perplessa. C'è qualcosa che non torna.

Non mi sembra più lei. Non sembra più la donna che conoscevo, che avevo imparato a conoscere nelle altre occasioni. Quella che quasi si lamentava se trovavo il modo di scoparmela durante le nostre infuocate sessioni sadomaso. Dovevo trovare il modo di inserire la scopata in un contesto di dominazione/sottomissione, altrimenti era capace di non darmela nemmeno. Dovevo per esempio sottolineare che era la mia troia e che avevo il diritto di sbattermela in tutti i buchi, appunto come una troia. Oppure dovevo trovare il modo di rendere la cosa piccante e dolorosa, per esempio facendo precedere l'amplesso da una fase in cui alternavo sul suo clito carezze di lingua e "carezze" di cintura. Poi quando la parte era gonfia, tumida, arrossata, la scopavo con irruenza, cercando crudelmente di strofinare anche fuori, col bacino. Allora sì, la scopata era gradita. Altrimenti no: troppo tranquilla, troppo dolce, troppo "borghese". "Se proprio devi infilarlo da qualche parte, allora usa il culo", mi diceva spesso.

Invece quella che ho ora davanti è una donna completamente diversa. Vuole scopare, prima di tutto e più di tutto. Sembra molto meno interessata alle perverse emozioni delle situazioni dom/sub. E' invece interessatissima a godersi un bel cazzo che le stantuffi a dovere la fica. Un effetto indiretto del periodo coniugale difficile? Forse. Non che mi importi particolarmente in questo momento, però potrebbe spiegare molte cose. Tra le altre anche il no di oggi pomeriggio. Ci sono bisogni primari e bisogni secondari. Non hai troppa voglia di fare giochini sadomaso se hai carenza di cazzo, nella sua versione più classica e intramontabile. Quando le cose col marito andavano a gonfie vele, lei poteva venire tranquillamente a trovarmi e divertirsi con le situazioni più estreme. Ora che a quanto pare c'è qualche problema invece ha mille remore, mille difficoltà, a lasciarsi andare a cose davvero porche. La conclusione cui si giunge è paradossale: solo le donne che hanno un matrimonio felice possono permettersi di divertirsi come si deve con un amante. Cari mariti, se la vostra mogliettina non vi mette le corna allegramente significa che c'è qualcosa che non va. E' un campanello d'allarme da non trascurare.

Intanto continuo a scoparla. Si vede che le sta piacendo da morire. Anche a me, sia chiaro. La sua fica è morbida e calda intorno al cazzo duro, e mi delizia. Ma mi accorgo che non mi basta. Questo suo essere "diversa" da come la conoscevo mi mette un po' a disagio. E' un po' come fottermi una sconosciuta. "Tanto meglio" penserebbe qualsiasi altro uomo al posto mio, lo so benissimo. Ma io no. Non mi ci ritrovo. Sarò strano, ma una donna non mi basta scoparla nella fica. Voglio fotterla anche nella mente. Nell'anima. E da questo punto di vista mi sentivo perso, spaesato. Non ritrovavo punti di riferimento. Non è rimasto proprio niente della porcona masochista che tanto mi piaceva?

Proprio in quel momento lei, tra un gemito e l'altro, mi fa... "Cosa stai pensando di me?... Dimmelo... ti prego... "

Mi illumino. E' un po' come scoprire un volto amico in un ambiente estraneo e ostile. Il segnale è chiarissimo e lo colgo al volo

"Penso che sei una gran troia..." le sussurro in un orecchio, continuando a scoparla, ma con un filo di irruenza in più. "Penso che sei una che si fa mille seghe mentali, ma poi davanti al cazzo non capisce più niente... e vuole solo sentirselo sbattere in figa..."

Il suo piacere si impenna, i gemiti assomigliano sempre più ad ululati. Cazzo, ora si che la riconosco. Va bene le crisi, va bene i problemi, ma qualcosa dei vecchi gusti è rimasto. Insisto.

"Voglio scoparti come una puttana... ma poi te lo sbatto anche in culo, troia... dove credi di scappare..."

"Non so se ce la farò... è un po' di tempo che non..."

"Sai quanto me ne frega. Me lo dai e basta."

Lei sospira forte. Sta per venire. Le stringo brutalmente i capelli con una mano e intensifico il ritmo, finché non la sento urlare. Assecondo il suo orgasmo scopandola più dolcemente. Lei gode a lungo, poi appena riprende fiato ci guardiamo. Nei suoi occhi c'è amore, riconoscenza, gratitudine.

"Chi ti ha dato il permesso di venire?" le dico, brusco.

"Perdonami..." miagola lei.

"Perdonami un cazzo. Ora ti inginocchi sul pavimento e il perdono te lo guadagni succhiandomi le palle."

Ubbidisce subito. Durante la manovra incrociamo per un attimo lo sguardo. Ad entrambi scappa un sorriso. Ancora un po' è ci scambiavamo l'occhiolino.

* * * * *

"Mi piace da morire come mi scopi, lo sai?"

"Mmmmmm?" rispondo io, addentando un pezzo dello spicchio di pizza che tengo in mano. Simulo una certa elegante indifferenza, ma l'argomento mi gusta parecchio.

"Sicuramente è merito del gran cazzo che ti ritrovi... e anche dal fatto che riesci ad andare avanti a lungo... Ma non è soltanto quello..."

"Ah no?" Sono in brodo di giuggiole, anche se cerco di nasconderlo. Sarebbe valsa la pena attraversare mezza città per mangiare insieme a lei il giorno dopo, durante l'ora di intervallo del suo corso, anche solo per sentirsi dire certe cose. La piccola trattoria dove ci troviamo è affollatissima, e il brusio di fondo è abbastanza alto da tener confinata al nostro tavolo la conversazione.

"Quello che mi piace davvero tanto di te è che mi scopi... ad occhi aperti."

Ad occhi aperti? Cosa significa? La guardo interrogativo, mentre lei prova a spiegarsi.

"Vedi, nella mia esperienza, gli uomini..." qui si ferma e arrossisce leggermente. Entrambi sappiamo che non ha tutta questa esperienza di uomini diversi. Ma con un sorriso la incoraggio a continuare.

"Anche in base a quello che mi dicono le mie amiche... Gli uomini di solito quando scopano... E' come se a un certo punto fosse il cazzo a prendere il controllo, e loro non facciano altro che andarci appresso a fare su e giù. Si concentrano sul loro piacere e... chiudono gli occhi. Tu invece non sei così. Tu mi scopi con gli occhi aperti. Mi guardi... segui ogni mio momento... capisci se sto godendo, e quanto sto godendo, e ti comporti di conseguenza... sai cosa fare, cosa dire... sei presente... Con te ho la vera sensazione di un uomo che mi scopa, non solo di un cazzo che mi penetra..."

Sento di essere io ad arrossire. Vorrei dare di gomito al signore del tavolo vicino e dirgli "Ha sentito?" Qualcuno sta suonando la marcia trionfale dell'Aida nella mia testa col volume a palla, mentre cerco goffamente di schermirmi...

"Mah... Non so che dirti... io ho sempre fatto così..."

Sorride del mio imbarazzo. Ma oggi, non fa che sorridere. E' allegra, serena, tranquilla. Glielo faccio notare.

"E' vero" mi risponde. "Sto benissimo. Non provo il minimo senso di colpa, e mi sento anche un po' stronza per questo. L'unico rimorso è quello di aver fatto tante storie ieri pomeriggio. Non me lo perdonerò mai. E credo che anche tu non me lo perdonerai mai, vero?"

"Ma no... Non preoccuparti di questo. Non posso fartene una colpa. Quel comportamento, in quel momento, aveva le sue buone ragioni..."

"E a cosa era dovuto? Spiegamelo, ti prego, perché io stessa non so darmi una risposta... Ho passato tutta la notte a chiedermelo..."

Esito. Devo trovare le parole giuste. Sento che quello che sto per dire è importante.

"Non credo di essere in grado di darti una vera e propria spiegazione. Quello che posso dirti, però, è che secondo me nel sesso quasi mai un 'no' significa una fine, una rottura. Ci sono momenti in cui si percepisce che si vuole qualcosa di più, qualcosa di meglio... che c'è bisogno di un salto di qualità. In quei casi può avere un senso anche passare per un 'no'. Significa rompere gli schemi, uscire dai binari scontati, guardarsi dentro e guardarsi negli occhi. Significa capire meglio, ridefinire equilibri... o, meglio ancora, creare nuovi squilibri, nuove tensioni... perché il sesso non si nutre di equilibri. Anzi, li detesta..."

Mi guarda affascinata. So di farle questo effetto quando parlo dei massimi sistemi. Ma so anche che se ci prendo gusto comincio a non capire un cazzo nemmeno io di quello che dico, e decido di tornare rapidamente sulla terra.

"Non so perché lo hai fatto. Ma so che oggi, in questo momento, dopo essere passati attraverso quel 'no', siamo più uniti. Più complici. Ci conosciamo meglio l'un l'altra, e forse conosciamo meglio anche noi stessi. E l'attrazione che c'è tra noi non ne ha risentito, anzi. Basti pensare che hai vissuto persino il respingermi come un'emozione totalmente erotica..."

"Infatti volevo proprio chiedertelo. Come hai fatto a capire che ieri pomeriggio mentre ti dicevo di no mi stavo eccitando?"

In realtà l'ho solo vagamente intuito in seguito. Ma non c'è bisogno di rispondere. Lei sta continuando a parlare.

"Era sconvolgente. Leggevo la voglia nel tuo sguardo, e mi faceva un effetto stranissimo vedere che mi inseguivi, che cercavi di prendermi, di toccarmi, di afferrarmi, grande e grosso come sei. Io stessa ero confusissima dentro di me. Avevo voglia di te, ma il fatto di respingerti mi dava uno strano senso di esaltazione. Non ci capivo niente, ma tutto il complesso della situazione mi eccitava da impazzire. Non hai idea di come ho ridotto le mutandine in quei momenti. Non mi era mai successo di averle così bagnate. Continuavo ad essere convinta di doverti dire di no... Ma avevo anche il terrore che ti accorgessi dello stato in cui ero... dall'odore, o se fossi riuscito a toccarmi... Mi avrebbe messo in un imbarazzo micidiale..."

Ripercorro mentalmente i fotogrammi del giorno prima, aggiungendo questi particolari in più. La scena ha un sapore del tutto diverso.

"Ieri sera, dopo che te ne sei andato, ho recuperato le mutandine. Avevano ancora un odore fortissimo. Ma mi piaceva. Mi sono addormentata tenendole sul cuscino, vicino al viso, pensando a te..."

"Sai cosa potremmo fare? Visto che quella situazione ti eccita tanto, la prossima volta potremo simularla. Per gioco. Fingi di resistere, di negarti. Io ti inseguo, ti strattono un po', cerco di metterti le mani addosso mentre tu ti opponi... Potrebbe essere eccitante... Ehm, intendo dire... se ci sarà una prossima volta" Mi accorgo che nel mio entusiasmo pornocreativo sono entrato a gamba tesa sull'argomento tabù. Finora non si era sfiorato il tema del futuro, e mi maledico per averlo messo in tavola in un momento forse ancora prematuro.

Lei mi guarda con un sorriso sornione.

"Sai cosa ho saputo questa mattina? Tra un paio di mesi ci sarà il seguito di questo corso. La parte avanzata..."

"Davvero? Bene! Speriamo che i tuoi capi decidano di mandartici..."

Mi risponde maliziosa. "Beh, ma in fondo non c'è mica bisogno che l'azienda mi ci mandi. Chi vuoi che venga a sapere se mi ha davvero mandato l'azienda? Giusto?"

"Giustissimo!" le rispondo con approvazione.

"Anzi, a pensarci bene, non c'è nemmeno tutto questo bisogno che il corso ci sia davvero. Dico bene?"

"Non fa un grinza!" chioso con entusiasmo.

Per un attimo ci guardiamo. Allegri, sorridenti, complici. Poi le dico, ammicando:

"Mi raccomando, però. La prossima volta mi aspetto di trovarti un po' più decisa e convinta. Posso contarci?"

Lei esita. Vorrebbe dirmi di sì, ma non ci riesce. Si rabbuia in viso. Un velo di umido le compare sugli occhi. Abbassa lo sguardo e sussurra "Non lo so..."

Sinceramente speravo in una risposta diversa, e un po' di delusione traspare dal mio sguardo. Lei mi guarda di sottecchi e piagnucola "Potrei dirti di sì, ma sarebbe una bugia... So come sono fatta... Non sono in grado di prometterti niente... Perdonami..."

Improvvisamente sento sciogliersi ogni tensione. Non c'è niente da fare, con lei. E' fatta così. D'altra parte il fascino di certe donne risiede proprio in questa assurda imprevedibilità. Ed è un fascino cui sono molto vulnerabile. Me la tengo così, e con gioia. D'altronde che te ne fai di una donna lineare, razionale, affidabile, prevedibile?
Scuoto la testa e comincio a ridere. Prima piano, sghignazzando, poi sempre più forte. Lei mi guarda e comincia a ridere a sua volta. Ridiamo insieme, rumorosamente. Gli altri avventori ci guardano, curiosi. Speriamo a nessuno venga l'idea di chiederci perché. 
 

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