La Cerimonia
Le parole del sacerdote risuonavano solenni tra le volte della cattedrale.
"Vuoi tu, Barbara/slave, prendere come tuo tenero padrone autoritario il qui presente Vittorio/master? Prometti di amarlo, di adorarlo, di venerarlo, di idolatrarlo? Di concedergli il controllo più totale del tuo corpo e della tua anima? Di essere la sua schiava obbediente, docile e sottomessa? Di eseguire con gioia ogni suo ordine? Di donargli piacere in ogni modo, con ogni centimetro del tuo corpo, a lui e a tutti quelli che lui ti indicherà? Di aprirgli ogni angolo, anche il più nascosto, della tua anima, per rendere il suo possesso di te assoluto, totale, irreversibile?"
La voce di Barbara era roca per l'emozione e l'eccitazione, quando rispose "Sì. Lo voglio."
"E tu, Vittorio/master, vuoi prendere la qui presente Barbara/slave come la tua dolce schiava prediletta? Prometti di domarla, dominarla e sottometterla? Di sfruttarla e di abusare di lei senza freni e senza remore? Di controllare totalmente il suo corpo e la sua anima? Di prendere il tuo piacere dal suo corpo in ogni modo possibile? Di esplorare, violare e fare tuo ogni angolo non solo del suo corpo ma anche della sua mente? E di lenire così tutte le ferite e le cicatrici fisiche e psicologiche che troverai, con l'effetto taumaturgico della tua dominazione?"
Vittorio riuscì ad essere limpido e chiaro quando pronunciò il suo "Sì Lo voglio." Ma il suo cuore batteva a mille.
"Vi dichiaro Padrone e Schiava"
Vittorio e Barbara si sorrisero, scambiandosi uno sguardo pieno di mille sottintesi. Lo stesso sorriso albergava sulle labbra di tutti i presenti alla cerimonia. Del sacerdote, dei chierichetti. Del marito di Barbara, che teneva in braccio la bambina. Della moglie di Vittorio. Degli amanti di Barbara. Delle amiche di Vittorio. Dei parenti, degli amici e dei colleghi di entrambi, che affollavano la cattedrale. Tutti condividevano la letizia del momento.
"Scambiatevi i Doni" suggerì il sacerdote.
Barbara, compiendo un gesto che aveva provato e riprovato più volte, afferrò la catenella dorata che, a mo' di guinzaglio, le pendeva dal collo fino all'ombelico. La staccò dal collare di pelle nera borchiato che le cingeva il collo. Poi, con gentilezza, afferrò la mano destra di Vittorio e girò la catenella per quattro volte intorno al suo polso, facendone un bracciale. Per tutti i presenti fu perfettamente chiara la potente simbologia di quel gesto.
Barbara era completamente nuda, a parte il collare di pelle e il velo bianco trasparente che dalla testa la ricopriva fino ai piedi. Tutti potevano ammirare la seducente generosità delle sue forme.
Vittorio raccolse da un cuscinetto di velluto un'altra catenella dorata. Con gesti misurati vi cinse la vita di Barbara. Dalla catenella dondolava un pendaglio dorato che raffigurava la lettera "V". Anche il significato di quell'oggetto era lampante. Vittorio prendeva possesso della sua schiava, marchiandola con la propria iniziale.
Appena quelle manovre furono terminate, il sacerdote sorrise e, con un gesto ieratico delle mani disse "...e ora, Barbara, puoi fare un pompino al tuo Padrone."
Barbara si inginocchiò e, con le mani tremanti dall'emozione, cominciò ad armeggiare con la cintura e la chiusura lampo dei pantaloni di Vittorio, che era vestito con un impeccabile abito da cerimonia.
Quello era per Barbara il giorno più bello della sua vita, il culmine della sua intera esistenza. Era entusiasta, confusa, felice e commossa sull'orlo del pianto.
Una calda lacrimona, sgorgata dal suo occhio destro, dopo averle accarezzato i contorni del naso e il labbro superiore, si ritrovò, sorpresa, a scivolare sull'asta rigida di lui, prima di scomparire tra i peli.
In pochi attimi le volte della cattedrale cominciarono a risuonare dei mugolii estasiati di lei e dei rumori di suzione che produceva. Il sacerdote, i chierichetti e tutti i presenti osservarono commossi quell'atto tenero e innocente. Il primo di una lunga vita felice di dominazione e sottomissione.
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