Agnese
Oggi Agnese ha la gonna corta!
Il cuore comincia subito a battermi forte, pensando a quello che significa. E' appena uscita dallo spogliatoio delle donne, fresca di doccia, con la borsa a tracollo, e senza fretta sta salutando a destra e a sinistra. Saluta anche me, senza particolare enfasi, come uno dei tanti, ma per un millesimo di secondo incrociamo lo sguardo. Nessuno riuscirebbe mai a notarlo, ma io e lei ci siamo capiti benissimo. Il cuore mi batte più forte.
Per rendere ancora più esplicito il segnale, Agnese tira fuori dalla borsa il pacchetto di sigarette e l'accendino. Un'altra impercettibile occhiata verso di me. Con la massima indifferenza possibile, sperando che nessuno si accorga delle gambe che mi tremano, mi dirigo verso lo spogliatoio. Quello degli uomini, naturalmente. Non c'è molta gente, un paio di persone, qualcun'altro è sotto la doccia. Guadagno un po' di tempo, fingendo di rovistare nella mia borsa. Poi, quando mi sembra il momento propizio, senza dare nell'occhio, mi dirigo verso il gabinetto, confinante con le docce. Sono sicuro che nessuno mi ha notato. Entro, chiudo a chiave la porta, e aspetto.
Mentre aspetto, penso ad Agnese. Non è bellissima, ma mi attizza da morire. Se sono vere la metà delle storie che si raccontano su di lei, deve essere una gran porcona. Coi suoi 35 anni ha quasi il doppio della mia età. E' alta, molto alta per essere una donna. Il viso ha i lineamenti un po' forti, soprattutto il naso, liscio e regolare, ma "importante". Quello che colpisce di più i ragazzi, a sentire i commenti, è il suo seno. E' abbondante di suo, ed esaltato da una conformazione particolare della cassa toracica, che lo mette ancora più in evidenza. Quando le stai in piedi davanti sembra che te lo sbatta in faccia, e non si può fare a meno di metterci l'occhio. Per il resto, come spesso capita alle ragazze alte, ha una conformazione un po' sgraziata e spigolosa, non particolarmente attraente. Però attizza, e non solo me. Sarà in parte il seno, in parte i suoi modi di fare, in parte quello che si sente dire di lei. Soprattutto noi ragazzi più giovani siamo sensibili al suo fascino. Chissà, forse proprio per la differenza di età che la rende un po' fuori bersaglio. I più grandi, coetanei di Agnese, non sembrano attratti in modo particolare. Gira voce che qualcuno di loro sia stato a letto con lei, ma non si sa se è vero. E' invece abbastanza palese che Agnese ha messo gli occhi su un paio di loro, ma senza grande successo.
A me, in particolare, c'è una cosa di Agnese che piace da matti, e ho avuto anche modo di dirglielo direttamente. Ho una certa confidenza con lei, sembra avermi preso in simpatia. Forse le piace lo sguardo di adorazione che non le faccio mai mancare, e i complimenti con cui l'adulo ad ogni occasione. Anche se per lei sono solo un ragazzino.
Una volta stavamo discutendo di tabelle di allenamenti, e ci siamo ritrovati a parlare di parti del corpo. Lei si lamentava dei suoi difetti, sono troppo così, troppo cosà, e io ribattevo punto per punto, dicendole che era bellissima. Mi rendevo conto di mentire spudoratamente, visto che non è, oggettivamente, questa meraviglia. Però traevo da quel dialogo uno strano senso di eccitazione, che era maggiore quanto più erano clamorosamente esagerati i complimenti che le facevo. Persino nella luce compiaciuta del suo sguardo mentre mi ascoltava mi sembrava di cogliere un qualcosa di perverso, che mi eccitava morbosamente, ma forse era solo mia immaginazione.
"Indovina qual è la parte del tuo corpo che mi piace di più!" le dissi a un certo punto.
"Non saprei... qual è?" E mentre diceva così le sue tette sembravano lievitare invitanti verso i miei occhi.
"I tuoi polpacci."
Sul suo viso comparve un sorriso stupito e incuriosito. Tutto s'aspettava, tranne la mia risposta. I polpacci di Agnese non erano belli, rispetto a nessun canone estetico immaginabile. Erano un po' grossi, carnosi, irregolari. Però erano... non saprei dire meglio... "femminili". Polpacci da donna. Non so perché, mi turbavano, e mi sorprendevo spesso ad accarezzarne la linea con lo sguardo, sotto i suoi fuseaux da ginnastica.
Lei rise. "Ma vuoi scherzare? E dire che mi faccio mille problemi quando devo mettermi una gonna! No, davvero... non puoi dirmi che i miei polpacci sono belli." E il nostro gioco dell'adulata e dell'adulatore continuò.
Non ne parlammo più, per un po' di tempo. Poi, un giorno, in una delle nostre usuali conversazioni, per dare supporto ai miei soliti complimenti, mi scappò di accennare ad un commento che un tizio aveva fatto su di lei, negli spogliatoi degli uomini. Era uno di quelli che le piacevano. Si fece subito attentissima.
"Davvero ha detto così?"
"Beh, più o meno..."
"Dimmi le parole esatte!"
"Non sono sicuro di ricordare... Ha detto più o meno che... che ti... insomma, che ti si farebbe. Ma non ricordo le parole precise..."
"Fai uno sforzo!"
"Non so nemmeno se sarebbe giusto dirtelo... Tra uomini ne diciamo tante... spesso anche usando un frasario molto volgare... Non si fa per offendere o mancare di rispetto... Tra uomini si usa così.."
"E si fanno spesso commenti su di me?"
"Beh, onestamente sì... qualche volta io stesso..." e mi interruppi, sentendo il viso avvampare. Lei mi guardò sorridendo sorniona.
"E, immagino, anche tu, visto che si usa così, ci avrai dato dentro col frasario volgare, non è vero?" continuò, con un pizzico di rimprovero nella voce.
Arrossii, se possibile, ancora di più, e volsi lo sguardo in basso.
Dopo qualche secondo, guardandosi intorno e parlando impercettibilmente più piano, mi sussurrò: "Sai? Potrebbe farmi molto comodo avere un... orecchio... negli spogliatoi degli uomini. Che ne dici? Non saresti disponibile a farmi da orecchio... a riferirmi tutto quello che si dice sul mio conto?"
"Non saprei... non mi sembra onesto..." mugugnai.
"Potrei ricompensarti, per la gentilezza che mi fai..."
Non osavo chiedere "come". Non ce ne fu bisogno.
"Per esempio lasciandoti toccare i miei polpacci che ti piacciono tanto..." disse con un tono sexy, ma che poteva ancora rientrare nello scherzo, nella battuta.
Mi sentii subito il cuore in tumulto, mentre il mio cazzo era diventato durissimo. L'eccitazione mi rese audace. "Me li faresti anche leccare?" chiesi in un soffio.
Non so dove, trovai il coraggio di guardarla in faccia. Stava sorridendo con un vago compiacimento, mentre io friggevo di imbarazzo sotto il suo sguardo malizioso.
Poi, dopo quelli che mi sembrarono attimi eterni, sillabò: "Mmmm... perché no?"
Così, quella sera stessa, si consumò l'esperienza erotica più intensa della mia vita. Non è che ne abbia poi tanta, di esperienza, ma per ora i miei primi rapporti con le mie coetanee non si avvicinano nemmeno lontanamente all'emozione che provai in quella occasione.
Avvenne tutto nel suo appartamento da single, dove la raggiunsi dopo cena. Si fece trovare in minigonna e con dei collant. Ci accomodammo nel suo salotto, illuminato da una flebile abat-jour. Mi fece inginocchiare ai suoi piedi, mentre lei era seduta su un comodo divano di pelle. Mi spiegò che avevo mezzora di tempo, che mi era concesso muovermi liberamente su tutta la parte dal ginocchio in giù, ma non dovevo assolutamente superare il ginocchio. Specificò che io dovevo restare vestito, e mi ricordò più volte il patto in base al quale io da quel momento sarei diventato il suo orecchio fidato nello spogliatoio maschile.
Appena le ebbi assicurato che avrei rispettato tutte le condizioni (nello stato in cui ero avrebbe potuto chiedermi qualunque cosa), si liberò dei collant, deliziandomi con l'odore di pelle femminile che emana tipicamente dalle gambe appena liberate dal nylon. Si sistemò comodamente appoggiata allo schienale, con le ginocchia non serrate, ma nemmeno spalancate. Poi si accese una sigaretta, e mi diede il via.
"Mezz'ora da adesso. Puoi cominciare."
Passai la mezz'ora successiva in ginocchio e steso a terra, ad arrotolarmi come un serpente intorno a quelle due lunghe gambe, percorrendo con labbra e lingua ogni centimetro di pelle.
Quei polpacci mi sembravano più meravigliosi che mai. Non mi stancavo di accarezzarli, di baciarli, di leccarli, di annusarli.
Mezz'ora è lunga, quindi ebbi modo di leccare tutto quello che avevo a disposizione, anche i piedi e le caviglie, ma l'attenzione massima era sempre dedicata ai polpacci, che nella loro posizione mi obbligavano a contorcermi goffamente per poterli raggiungere bene. Quando la lingua divagava altrove, c'erano sempre le mani in moto per palparne le forme, per saggiarne la consistenza, per accarezzare.
Se mani e bocca non potevano superare la barriera del ginocchio, l'interdetto non era valido per gli occhi, che potevano scorrere felici sulle cosce, fino all'incavo, dove, alla fine del tunnel buio, si intuiva la presenza di mutandine scure.
Inutile dire che per tutto il tempo ebbi una dolorosa bruciante erezione, che certo non mi facilitava i movimenti. A rigore, Agnese non mi aveva vietato di toccarmi da sopra i pantaloni. Ma non lo feci: avrei solo peggiorato la situazione, e le mani erano troppo impegnate a toccare lei.
Gli odori e i sapori mi inebriavano. Erano odori di donna, di donna adulta. Odori corporali femminili, come quello del velo di sudore sotto le ginocchia, o quello dei piedi. Sono diversi da quelli di un uomo. Tutto mi eccitava. Persino la sensazione ruvida, sotto la lingua, della punta di qualche pelo che ricresceva, o la visione della linea bluastra e irregolare di qualche tratto di vena. Avevo la sensazione di penetrare in un'intimità ancora più profonda di quella propriamente sessuale. Tanti uomini erano stati a letto con lei, ma forse nessuno aveva degnato della giusta attenzione quei polpacci stupendi e tutta la zona circostante, con quelle forme, quegli odori, quei sapori. Sentivo che quei polpacci, in un certo senso, erano solo miei.
Agnese all'inizio era un po' fredda, più divertita che eccitata, e si limitava a guardarmi con curiosità. Poi sembrò man mano più coinvolta. Ad un certo punto, verso la fine, mi fece fermare.
"Ti concedo qualcosa di carino da guardare per questi ultimi dieci minuti..."
Detto questo, si sfilò le mutandine e tornò nella posizione di prima. Non c'era molto da vedere, a dire la verità. La stanza era in penombra, lei continuava a tenere le gambe abbastanza vicine, e la sua gonna manteneva tutta la zona al buio. Non si distingueva nulla. Ma la sola idea che lì davanti a me, in quell'antro scuro, si celava senza veli e senza ostacoli la fica di Agnese, mi metteva completamente in subbuglio.
Dopo pochi minuti, invece, lo scenario cambiò. Agnese, con deliberata lentezza, allargò le ginocchia, facendo contemporaneamente scivolare verso l'alto con le mani l'orlo della gonna, portando così allo scoperto il suo tesoro nascosto. Per tutto il tempo dell'operazione mi tenne gli occhi addosso, per gustarsi la mia reazione. Il movimento delle sue gambe aveva allontanato dalla mia bocca il suo polpaccio destro, che stavo omaggiando. Non riuscii nemmeno a ritirare dentro la lingua. Rimasi immobile, con gli occhi spalancati e la lingua penzolante ad ammirare quella ficona enorme che veniva solennemente alla luce.
Appena recuperai il controllo, tornai alacremente a darmi da fare, ma la situazione era un po' diversa. Se con la nuova posizione delle gambe di Agnese era più scomodo passare da un polpaccio all'altro, è pur vero che c'era un'emozione tutta nuova a lavorare sotto lo sguardo severo di quella grande fica. Dava l'impressione di emanare la sua aura di dominio e di supervisione su tutta la zona tra le gambe di Agnese, ossia proprio la zona dove da mezzora mi scapriolavo scomodamente, prono, supino, in ginocchio e carponi, per offrire la mia adorazione orale ai divini polpacci.
Agnese cominciò a carezzarsi tra le cosce. Prima pianissimo, girando intorno alla vulva in punta di dita, quasi come se lo scopo fosse solo quello di esaltare maggiormente la visibilità della sua fica e godersi i miei occhi spalancati, mentre continuavo a slinguazzare polpacci e ginocchia. Poi invece sembrò prenderci gusto, e le carezze cominciarono ad affondare decise tra le pieghe di quella ficona circondata da folto pelame nero, che mi osservava minacciosa e sdegnosa a pochi centimetri dal mio naso.
"Dai, cagnolino... lecca bene... goditi i miei polpacci... Vedrai che se fai il bravo e mi fai da orecchio non avrai da pentirtene... sono molti i premi che posso darti..." Queste, ed altre di tenore simile, erano le parole che mi ripeteva sospirando, mentre l'eccitazione cresceva. Non solo la "sua" eccitazione, e la "mia" eccitazione. Era proprio la tensione elettrica nell'aria che sembrava crescere fin sul punto di esplodere, e Agnese ed io ne eravamo completamente coinvolti.
Proprio allo scadere della mezzora, la situazione raggiunse l'acme. Lei, gemendo e sospirando, arrivò all'orgasmo con le proprie carezze, ma lasciandomi la sensazione di aver contribuito in modo significativo, con la mia lingua e le mie mani sui suoi polpacci. Quasi contemporaneamente, anche io, senza nemmeno toccarmi, sentii una specie di ondata di lava calda nel cervello, mentre il pacco, stretto nei calzoni, aveva dei rabbiosi sussulti, imbrattando le mutande con una quantità incredibile di sperma.
Agnese fu molto sbrigativa nel congedarmi, dopo avermi ricordato per l'ennesima volta i miei doveri come suo orecchio. Anche io avevo una certa fretta di tornare a casa. Quell'orgasmo non aveva appagato che una piccola frazione di tutta l'eccitazione che avevo accumulato, e non vedevo l'ora di essere nella mia camera, nel mio letto, per un'estenuante nottata masturbatoria.
Ma... eccola! Sento la voce. Finalmente arriva. Non posso stare chiuso troppo a lungo in questo cesso. Se qualcuno ci fa caso, chissà cosa pensa.
La palestra che Agnese ed io frequentiamo, come tante altre, è costruita in un locale originariamente progettato come garage, ed è sotto il livello della strada. La finestrella del bagno degli uomini, vicina al soffitto, è giusto all'altezza del selciato esterno, a pochi metri dall'ingresso, laddove c'è sempre un gruppetto di persone che si attarda a chiacchierare prima o dopo gli allenamenti. C'è un vetro smerigliato, ma la finestrella è sempre aperta a "V" per far circolare l'aria. Se qualcuno sulla strada si avvicina abbastanza, dal gabinetto si possono vedere le gambe.
E i polpacci.
Eccoli. Sono loro. Sono i suoi polpacci. Li riconoscerei tra mille. Lì fuori nessuno si accorge di nulla. Agnese si è semplicemente appoggiata con la schiena al muro esterno per fumare una sigaretta, e scambiare due chiacchiere con altre persone che sono lì. Non c'è assolutamente nulla di sospetto, anche se in teoria qualcuno potrebbe notare che quando è in gonna si mette sempre a fumare nello stesso posto.
La prima volta è successo per puro caso. Ero entrato nel cesso per pisciare e mi sono trovato i polpacci dei miei sogni praticamente davanti agli occhi. La sega è partita in automatico. Poi, quando gliel'ho confessato (dopo averle riferito per filo e per segno la razione giornaliera di commenti da spogliatoio che la riguardavano) è sembrata divertita della cosa, e mi ha detto che si poteva fare ancora.
Ho il cazzo già duro, e comincio a menarmelo. Il tempo che ho è pari alla durata della sua sigaretta. Più che sufficiente per una sega coi fiocchi. I suoi polpacci sono lì, meravigliosi, e posso spolparmeli con gli occhi a volontà. Ma non sarebbe altrettanto eccitante se non sapessi che lei sa. Se non sapessi che è perfettamente cosciente del fatto che mentre chiacchiera amabilmente con altri ragazzi della palestra, tra una boccata di Marlboro e l'altra, io quaggiù mi sparo un pippone da infarto per lei.
Mentre guardo quei polpacci ripenso a quella serata indimenticabile, e sogno la prossima volta che capiterà. Non vedo perché non dovrebbe capitare. Sono stato un "orecchio" puntuale, preciso e fedele. Merito pienamente di essere premiato. Forse la prossima volta potrò leccarle la fica. Quella ficona succosa e pelosa. Ma ora è meglio non pensarci. A occhio e croce dovrei avere ancora un paio di minuti di sigaretta. Questo pensiero me lo tengo per la fine.
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