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Ho Portato un Amico

 
"Grosso."

Questa fu l'unica specifica che diedi.

"Ma lo vuole vibrante o..."

Ci pensai. "No. Non vibrante. Purché sia grosso."

La commessa del sexy shop mi scoccò un'occhiata fredda e antipatica, prima di dirigersi verso una vetrinetta. Mi chiesi perché. A lei piacevano piccoli?

Me ne indicò uno, in una confezione di plastica trasparente. Lo riconobbi. Avevo visto lo stesso identico articolo su un sito web che li commercializzava on line. Su questo c'era una targhetta adesiva con dei numeri. Mi sembrava un prezzo onesto. Era del tipo "realistico", con la forma ricalcata fedelmente da un esemplare vero, con tanto di venature e rilievi, e il colore giusto. Molto grosso, sì. Non enorme.

"Ne avete di più grandi?"

Mi guardò scocciata. Perché? Poi allungò le mani verso un'altra confezione sullo scaffale.

"Abbiamo anche questo..."

Aprì un'estremità della scatola. Si intravvide per un attimo la cappella del mostro. Saranno stati, senza esagerare, 6-7 cm di diametro.

"Costa 200 euro" aggiunse.

"No... no... lasciamo stare..." risposi prontamente. "Meglio quest'altro. Vorrà dire che... eheh... si dovrà accontentare..." Tentai di accompagnare la battuta con una strizzata d'occhio e un sorriso simpatico, ma quella mi rivolse l'ennesima occhiata acida. Cosa le avevo fatto di male?

"Come vuole. Questo costa 165 euro..." Mi sentii gelare. Una cifra incredibile. Niente a che vedere con quanto c'era scritto sulla targhetta, che probabilmente era solo un numero di serie, un codice o qualcosa del genere. Il sito web che conoscevo lo offriva a 67, praticamente un terzo. Si può pure spendere una cifra per una pazzia, una tantum, ma farsi fregare non piace a nessuno.

Il fatto è che la possibilità di riuscire a vedermi ancora con Laura era venuta fuori un po' a sorpresa. Secondo i programmi originali il padre quel giorno avrebbe dovuto accompagnarla direttamente all'aeroporto, quasi sin sull'aereo, e non c'era la possibilità nemmeno di salutarla di persona. Invece c'era stato un contrattempo e l'avrebbero accompagnata dei cugini alla stazione Termini, verso le 14, da dove "ufficialmente" avrebbe preso una navetta per Fiumicino.

Laura mi aveva avvertito del cambio di programma la mattina stessa con un sms. Avevo fatto due conti. Aveva l'aereo alle 20. Doveva arrivare in aeroporto alle 19. Se la prendevo alle 14 a Termini, saremmo stati in un albergo che avevo già individuato, in direzione aeroporto, verso le 14.30. Potevamo andarcene da lì, con tutta calma, alle 18,30. Quattro belle ore di sesso da passare con lei. Non stavo nella pelle. (Questo è un modo di dire che ho sempre trovato particolarmente suggestivo per un uomo che aspetta un incontro galante con una donna. Se l'uomo non è circonciso, voglio dire.)

In ufficio mi ero organizzato per fuggirmene con largo anticipo, con la complicità del capo, un tipo comprensivo. Eravamo ancora nel periodo natalizio, tre quarti dei colleghi erano in ferie e non c'era molto da fare.

Nel frattempo lei mi aveva scritto ancora, via SMS: "Hai tempo anche per fare spesa..."

Avevo colto subito l'allusione. Non ricordo bene come, nell'ultimo incontro era venuta fuori l'idea di comprare un grosso cazzo finto per giocarci con lei. Mi pare che la proposta fu mia, ma a lei era piaciuta moltissimo. Sembrava destinata a realizzarsi al suo ritorno a Roma, qualche mese dopo. Invece c'era la possibilità di farlo subito e lei sembrava molto eccitata da quella prospettiva.

Cosa dovevo fare? L'urgenza mi metteva con il collo tra le mani di quei ladri. Ma la cifra che la commessa di quel sexy shop aveva sparato era assolutamente fuori dal mondo. Sicuramente fuori dal mio budget in quel momento.

"E... per meno...?"

Raccolsi con indifferenza l'ennesima occhiata antipatica di quella stronza (cominciava davvero a starmi sul cazzo).

"Abbiamo questo... è quello col prezzo più basso... viene 99 euro." Un'enormità, ma ci stavo dentro. Diedi un'occhiata a questo ulteriore articolo. Mi sembrava un po' più grosso del primo, per il resto non c'erano significative differenze, a prima vista. Sembrava addirittura migliore. Decisi per il sì. Quello che mi scocciava era che con ogni probabilità anche su questo c'erano ricariche sul prezzo da criminali. Roba da denunciarli all'Adiconsum. Mica scherzo! Non ho il diritto come consumatore di essere difeso dalle truffe anche dentro un sexy shop? Il fatto di comprare giocattoli erotici mi rende forse un cittadino di serie B? E poi guardate che l'economia di una nazione è un sistema interconnesso, in cui ogni minima cosa ha il suo riflesso sul tutto. Potreste giurare che il prezzo su piazza dei cazzi finti non abbia ricadute sul mercato delle zucchine, dei cetrioli, delle banane?

"Serve altro?" disse la commessa, annoiata, con il tono di un implicito invito ad andarmene prima possibile.

Non avrei comprato nulla più in quel covo di ladri, nemmeno se mi minacciavano con un mitra. Ma in quel momento l'idea di far perdere tempo alla stronzetta e di imporle per qualche altro minuto la mia sgradita presenza, era troppo ghiotta.

"Mi mostra delle fruste?"

"Che tipo?"

"Mi faccia vedere quelle che ha."

Di malagrazia mi scortò verso un muro, dove vari pezzi della collezione erano appesi. Era nei programmi anche l'acquisto di un attrezzo del genere. Mi mostrò dei "gatti". Mi sembravano assolutamente innocui, più coreografici che realmente dolorosi. Ma l'apparenza spesso inganna. Sarebbe stato utile provarli. Quasi quasi le chiedo se si presta, mi dissi. L'idea di lasciare qualche urticante striscia viola sulle chiappe di quella scontrosa era piuttosto invitante. Diedi un'occhiata distratta a due tre esemplari, sfoggiando volutamente una smorfia di scarso apprezzamento, poi decisi di andarmene.

In realtà avrei voluto anche vedere degli strap-on. Ne avevamo già parlato con Laura, ma in prospettiva futura: era un passo piuttosto impegnativo, da ponderare bene. Però l'idea dell'occhiata che mi avrebbe scoccato la commessa si rivelò insopportabile. O magari un commento mellifluo tipo "Questo non lo vuole enorme? Oh.. E come mai?". Meglio lasciar perdere. Pagai ed uscii da quel posto con il nuovo acquisto chiuso nella sua scatola, a sua volta nascosta dentro un'anonima busta di plastica celeste. Diedi mentalmente l'addio a quel sexy shop. Ladri. Avevano perso un cliente.

Mi allontanai con la macchina, e al primo spiazzo tranquillo mi fermai. Preso dalla curiosità, estrassi l'oggetto dalla confezione. La scatola conteneva anche un elegante sacchetto di nailon rosso, per conservare l'oggetto, e un piccolo spray antibatterico profumato. Strappai l'involucro di cellophane e lo tirai fuori. Il colore e la forma erano riprodotti molto bene. Le venature avevano un filo di sfumatura bluastra, mentre la cappella era leggermente più rosea rispetto al resto. Lo strinsi: anche la sensazione tattile era abbastanza convincente. Sembrava come quando mi stringo il mio. Aveva una tendenza a piegarsi maggiore rispetto ad un cazzo vero in erezione (almeno al mio), ma era un dettaglio secondario. Era sicuramente meno caldo. Forse l'handicap maggiore era costituito dal forte odore di gomma, probabilmente fastidioso se una donna avesse voluto slinguazzarselo e sbocchinarselo un po'.

Una bella bestia, ma non sovrumana. Sulla confezione, tutta in inglese, c'era scritto 8". Otto pollici. Venti centimetri abbondanti. Nessun dato sul diametro o la circonferenza. A vederlo, non era clamorosamente più grosso del mio, che è altrettanto una bella bestiola. Pensai che tutto sommato gli invidiavo più la sua capacità di essere sempre pronto all'uso, e in grado di restare tale in eterno, piuttosto che quei 2-3 cm di lunghezza in più e quel mezzo centimetro, forse pure meno, di circonferenza in più. Per tutto il resto, molto meglio il mio. Scherziamo? A prima vista può sembrare un vantaggio poter essere comodamente manovrato con una mano, ma vuoi mettere la soddisfazione per una donna di sentire il contatto con tutto un corpo maschile che si agita per smuoverglielo dentro? E fino a che punto è davvero piacevole questa "durezza" statica, sempre uguale a se stessa, rispetto al gusto di un cazzo vero, capace di gonfiarsi e di indurirsi ancora di più nei momenti più intensi? Non parliamo poi dell'odore, del calore, del sapore, della possibilità di sborrare. Non c'è paragone. Ma scherziamo davvero?

Improvvisamente mi resi conto della piega che stavano prendendo i miei pensieri. Non c'era dubbio: lo percepivo come un rivale. Mi sentivo di cattivo umore per quell'acquisto. Forse era solo un effetto della spesa ingente e della truffa subita. Ma forse c'era anche dell'altro. Provai a calmarmi e a rifletterci su, e iniziai un lungo monologo interiore. Mi sentii una specie di Amleto, con il cazzo di gomma in mano al posto del teschio di Yorick.

Laura è una donna particolare, sessualmente parlando. Non raggiunge l'orgasmo con l'amplesso, e in questo non c'è niente di strano. E' una delle tante. Quello che c'è di particolare è che questa caratteristica di solito viene associata a donne "fredde", poco sensibili. Invece lei è un fuoco. Basta palparle un seno, o sfiorarle l'incavo delle cosce con il taglio di una mano, per vederla cominciare a sospirare, arrossire in viso, strabuzzare gli occhi. Le piace tutto, qualsiasi contatto tattile per lei è fonte di piacere. Le piace essere scopata, inculata, leccata, masturbata, penetrata con le dita, sculacciata, frustata. Più la sensazione è forte, al limite dolorosa, più le piace, più la vedi e la senti agitarsi e godere. E gode intensamente, lo si percepisce bene. Ma all'orgasmo non arriva, quasi il suo piacere fosse un pozzo senza fondo, che cresca cresca cresca indefinitamente senza mai far scattare il tilt. Per raggiungere l'orgasmo deve ricorrere alla stimolazione manuale del clitoride, quasi sempre da sola, solo occasionalmente con le carezze di un partner. Carezze rigorosamente manuali: troppo morbida la lingua per la stimolazione intensa e violenta che serve a farle superare l'argine.

Una partner di letto allo stesso tempo facile e difficilissima. Facile perché pronta a tutto, disponibile a tutto, ricettiva ad ogni stimolo, agevolmente infiammabile, sempre pronta a lasciarsi andare. Ma al tempo stesso difficile. Perché inesauribile, invincibile, inconquistabile, indistruttibile. Per quanto puoi fare per darle piacere, e gliene puoi dare tanto se ci sai fare un minimo, sai che non potrai mai andare fino in fondo. Resterà sempre quel suo angolino privato, solitario, in cui alla fine si ritirerà a masturbarsi, per raggiungere il suo orgasmo. Magari pensando a te, pensando che l'hai fatta godere da pazzi, che sei fantastico, che non c'è nessuno meglio di te a letto, che non vede l'ora di rivederti, che non ti cambierebbe con nessun altro. Ma lassù, da sola, lontana, inaccessibile.

Cos'è il cazzo per una donna così?

Prendi una donna cui, con un po' di centimetri e un po' di abilità, riesci a dare con buona puntualità dei deliziosi orgasmi "interni", vaginali. Me ne sono capitate diverse. Cos'è il tuo cazzo per lei? E' tutto! E' la fonte del suo piacere più intenso. E' un oggetto di culto. Lo adora, ci pensa, te ne parla. Te lo scrive in SMS: "Dio, quanto mi manca il tuo cazzo!" Se la senti, si finisce sempre a parlare di lui. Mentre la scopi ti dice "Perché quando te ne vai non me lo lasci?" Alla fine diventi quasi geloso del tuo cazzo. Ma lui è felice e contento e lo dimostra con prestazioni da guinness.

Cos'è un cazzo per una come Laura? Un cazzo. Una delle tante possibili fonti di stimoli, ma nemmeno la migliore, tutto sommato. E', questo sì, l'epicentro del piacere del partner, e lei non è egoista, anzi è generosissima. Le piace darti piacere ed è pronta a tutto. Te lo prende in bocca volentieri, è ben contenta che, quando lo usi per stimolarle la vagina o il culetto, anche tu senta la tua parte di piacere, ed è deliziata di vederti raggiungere l'orgasmo nei suoi buchi, grazie ai suoi buchi. Cosa si può volere di più?

Nulla, in generale. Se non fosse che sono in possesso di un cazzo che ha bisogno di sentirsi l'asse portante intorno cui ruota l'universo intero. Il ruolo di comprimario cui Laura tendeva a relegarlo gli stava stretto. Lui deve stare in un altro posto: al centro della scena. Mi accorsi di avere usato le stesse parole della gag nella pubblicità natalizia del caffè. Per un attimo immaginai il mio cazzo proclamare tronfio "Io sono Paolo Bonolis!" e mi feci una risata. L'altro cazzo, quello di gomma che stringevo in mano, mi guardò perplesso. "Zitto tu!" gli intimai. Mi sentii un po' scemo. Persi un attimo il filo dei miei pensieri. Cosa stavo dicendo? Ah sì...

Al mio cazzo non piace il ruolo di personaggio importante, ma non protagonista. E reagisce di conseguenza, come un fuoriclasse schierato fuori del suo ruolo preferito. Nel primo incontro con Laura era stato pigro, svogliato, poco reattivo, poco coinvolto, discontinuo. E dire che Laura lo aveva accolto con tutti gli onori. "Accidenti, è grosso! E' il più grosso tra quelli che ho mai visto!" aveva detto deliziata quando finalmente si era degnato di mostrarsi nella sua veste migliore. Ma era stato un bagliore passeggero. Aveva reagito con poco entusiasmo al tentativo di Laura di stuzzicarlo con la bocca. Poi si fece convincere, più o meno con le buone, a mettersi in condizioni per scoparla un po'. Da carponi prima, da sopra poi, e lì, proprio quando sembrava finalmente "entrato in partita", per la delizia mia e di Laura, mi aveva tirato lo scherzo di raggiungere un improvvido quanto prematuro orgasmo. Un vero scherzo del cazzo, visto che quando vuole il signorino sa "tenere" quanto gli pare. Dopo di che fu ancora più abulico e indifferente. Si prestò malvolentieri per un paio di brevi giri nel culetto di lei, e alla fine si fece portare, obtorto collo, ad un secondo orgasmo. Costruito da me, a mano, ma il cui frutto finì nella bocca generosa di Laura che lo aspettava.

Malgrado la sua scarsa collaborazione, la festa con Laura era andata avanti alla grande, e temo che questo mettesse lui ancora più di cattivo umore. Le donavo piacere senza posa con le dita e con la lingua dappertutto e in ogni posizione. Giocai a lungo con lei con le palline anali che le avevo regalato per l'occasione, continuando ad infilargliele e a tirargliele fuori con decisi strattoni alla cordicella. Le feci pregustare un assaggino di "giochi piccanti", bendandola, ammanettandola e omaggiandola con una scarica di sonori sculaccioni, fino a farle diventare le natiche tutte rosse. Laura, al suo esordio in questo tipo di cose, era eccitatissima e deliziata di tutto questo. Lo ero anche io, mi divertivo da matti, anche se lui snobisticamente ci ignorava, tenendo la testa china.

La seconda volta, pochi giorni dopo, era andata decisamente meglio. Lo stronzo cominciava a capire che con una come Laura aveva tantissimo da divertirsi anche lui, se solo si convinceva a mettere un po' da parte le sue manie di protagonismo. Quella volta, anche se c'era meno tempo a disposizione, avevo voluto dedicare a Laura una lunga sessione iniziale di "gioco duro", usando, oltre alle mani, una bella cintura di cuoio per colorirle il culo, mentre era bendata e ammanettata. Quando tra una scarica e l'altra di cinghiate chiedevo a Laura di succhiarmi il cazzo, quest'ultimo cominciava a mostrarsi abbastanza interessato. Poi, quando si trattò di fottersi quel culetto striato di rosso, fu quanto meno decente. Ben lontano dalle prestazioni di cui lo so capace, ma almeno presentabile. Non forzai la mano: gli diedi i suoi spazi nella festa, ma senza esagerare. Soprattutto lo tenni lontano dall'orgasmo fin verso la fine di quell'incontro. Lo chiamavo in causa, di tanto in tanto, e lui faceva il suo, nel culetto o nella fichetta di Laura, ma continuavo a divertirmi a darle piacere in tutti gli altri modi, con tutte le altre parti del mio corpo, o con le mitiche palline anali di cui era ormai innamorata.

Dal canto suo, lei sembrava entusiasta di quell'approccio. Alla fine mi commosse quasi quando mi chiese di "farle il regalo" di venire nella sua fica. Ci teneva al mio piacere e voleva che godessi di lei. Credo che non fossero così frequenti, nelle sue esperienze precedenti, uomini così pronti a mettere sempre al centro della sua attenzione il suo piacere, e a non pensare solo al proprio. Capaci di usare il cazzo, ma anche tutto il resto. Capaci di non identificarsi, a letto, sempre e solo con il proprio cazzo.

Non che mi ci riconosca molto in questa descrizione. Sono cazzocentrico quanto qualsiasi altro maschietto medio, e anche qualcosa di più. Mi piace dare piacere a una donna con sistemi "alternativi", ma nulla a che vedere con quando riesco a stregarla con l'arnese. Si diverte di più lei e mi diverto di più io. E' una bella bestiola, dura a lungo e so come usarla. Sì, ha quella maledetta mania di doversi sentire protagonista per esprimersi al meglio. Ma non era un grosso problema. Il ruolo da protagonista se lo sarebbe conquistato man mano sul campo, ed era anche giusto così. I progressi tra i primi due incontri erano stati evidenti, e ora aspettavo il terzo sicuro che la magia sarebbe stata ancora più forte.

Anche con altre donne mi era capitato di essere un po' scialbo nelle primissime uscite. Ma poi puntualmente la miccia si accendeva e il razzo decollava. Avevo sempre lasciato in giro ricordi di provetto scopatore. Vabbè, non proprio semprissimo... Però quando la storia con la partner non si limitava a pochissimi incontri, allora sì. E sarebbe stato lo stesso anche con Laura. Sotto sotto coltivavo il sogno selvaggio di essere il primo a farla venire "dentro", di donarle l'orgasmo vaginale. Perché, no? In fondo mi era già successo con altre ragazze di cogliere questa "verginità interna".

Bene. Cosa c'entrava in tutto questo quel cazzo di gomma che avevo in mano? Non era un segnale proprio in direzione opposta? Non stavo semplicemente aggiungendo un nuovo strumento da cui lei poteva trarre piacere, relegando il mio cazzo ad un ruolo ancora più marginale, con i presumibili nefasti effetti? Non era questa mia una resa incondizionata?

Ci pensai a lungo, poi decisi per il no. Ma che stupidaggine questa gelosia per un cazzo finto! Ho per le mani una ragazza meravigliosa, e meravigliosamente porcellina. Amante dei giochi piccanti. Invece di pensare a godermela e a giocare con lei in tutti i modi possibili, compresi quelli che prevedevano attrezzature varie, perché mi mettevo a fare tutta questa filosofia?
Perché non pensare invece a come poter usare quel coso di gomma per farla divertire? Quelli sì erano pensieri in cui era divertente indugiare. La creatività in questo campo non mi è mai mancata.

Subito mi vennero in mente un paio di situazioni possibili. Una delle due mi sembrava la più eccitante. Naturalmente nel gioco "lui" avrebbe fatto la parte di un altro uomo. Bisognava trovargli un nome. Sulla scatola c'era scritto "Doc Johnson". Mi chiesi se era la marca o il nome di qualche attore porno su cui avevano preso il calco. Comunque no, non mi piaceva. Meglio qualcosa di più paesano e ruspante. Un nome italiano. Ci voleva un nome... lungo! Mmmm.... Johnson... John... Gianni... "Gianbattista", pensai. Approvato.

Mi resi subito conto che l'effetto del gioco sarebbe stato molto più stuzzicante se lei non si fosse aspettata la presenza di Gianbattista. Sarebbe dovuta essere una sorpresa. Immaginai la scena. Mentre era bendata, gli avrei parlato della presenza di un "amico"... lei inizialmente non avrebbe capito... salvo poi farglielo sentire... strofinarglielo sulle guance... sulle labbra... Si sarebbe eccitata tantissimo.

Se invece lei avesse già saputo dove stavo andando a parare la cosa sarebbe stata molto meno stuzzicante. E purtroppo ormai non c'era niente da fare. Laura già sapeva che quel giorno avrei portato "l'amico".

A meno che...

Presi il cellulare e le scrissi un messaggio. "Maledizione! Il sexy shop è chiuso. 'Per inventario', c'è scritto. Ma che inventario fanno? Dei cazzi finti?"

Era credibile. Era la vigilia dell'Epifania e i negozi a inizio anno spesso chiudono per quella ragione.

Mi rispose pochi secondi dopo.

"Non conosci altri sexy shop lì vicino?"

Cavolo! Ci teneva proprio a prendersi il cazzone di gomma! Repressi la piccola scossa di gelosia.

"Ce n'era uno, una volta, ma ha chiuso molto tempo fa. Non saprei dove trovarne altri, così su due piedi. Mi dispiace."

Ora avrebbe dovuto rispondermi qualcosa come "Non fa nulla, tu ed il tuo cazzo siete più che sufficienti per farmi impazzire di piacere". Così risponderebbe una brava amante, rispettosa dell'ego (e del cazzo) del suo partner. Dai, Laura, da brava. Scrivi il messaggino. Su, tesoro. Non farti pregare. Coraggio.

Invece non arrivò niente, e per molti minuti tutto tacque. E' in macchina coi cugini, mi ripetevo, non può stare sempre a smanettare col cellulare. Eppure mi sentivo inquieto, con degli strani presentimenti. Come se con quella piccola bugia del sexy shop chiuso avessi osato troppo, irritando gli dei.

Poi finalmente il cellulare vibrò. E arrivò la mazzata.

"Vogliono che mi fermi a pranzo da loro. Mi portano in stazione alle 16"

Alle 16? Come sarebbe a dire? Mi saltava tutto il programma! Aritmeticamente erano due ore, ma cambiavano completamente lo scenario. Il traffico a quell'ora sarebbe impazzito, e bisognava contare almeno 20 minuti in più dalla stazione all'albergo. Restava un'ora e quaranta residua nella quale dovevamo spogliarci, rivestirci, darci una sciacquata prima e dopo. Era poco, troppo poco. Non solo per giustificare il prezzo dell'albergo, ma soprattutto in funzione di tutto quello che avevo pensato di fare con lei, giochini particolari, messe in scena, attese, atti vari. Eravamo stati "stretti" la volta precedente con quattro ore a disposizione, figuriamoci.

"Ti prego, rifiuta" digitai freneticamente. "Inventati qualcosa!"

Rispose, al solito, dopo una decina di minuti che passai in stato di totale agitazione.

"Cosa mi invento? Lo sanno che l'aereo è alle 20. Mi dispiace..."

"Digli che hai degli impicci burocratici... digli che sei schedata dall'antiterrorismo e ti devono perquisire i bagagli... digli che hai un appuntamento con un'amica... digli che devi comprare delle cose all'aeroporto..."

Attesi a lungo invano, sempre più agitato, sempre solo in macchina, senza sapere cosa fare.

Nel delirio di quel momento mi venne un sospetto folle. Aveva deciso di lasciar perdere quando le avevo detto del sexy shop chiuso. Sì, sì, deve essere così. La stronza. E' da stamattina che mi sta tampinando per mandarmi al sexy shop. Cosa mi aveva risposto quando le avevo detto che era chiuso? "Non ce ne sono altri, lì vicino?" E' vero o non è vero? E adesso ecco all'improvviso questo invito a pranzo. Voleva il maxi cazzo, la troiona, ecco la verità. Se io c'ero o non c'ero, non gliene fotteva niente. No cazzone, no party. E io gliel'ho pure comprato. Che stronzo!

"Ma cosa cazzo stai pensando?!" mi urlava da un angolino l'ultimo brandello di pensiero lucido.

Raggiunsi un compromesso nella mia testa confusa con la bestia incazzata che si agitava in me e mandai un altro disperato SMS.

"Fai che siano almeno le 15 e ti prometto che batto Roma a tappeto per trovare un sexy shop aperto!"

Attesi ancora, con il cellulare caldissimo tra le mani sudate. Vibrò.

"Lasciamo stare, dai. Ci abbiamo provato, è andata male. Mi dispiace che tu abbia perso mezza giornata di lavoro. Ma ti prometto che tornerò presto."

Sì, mormorò la bestia dentro me, tornerai quando sarai sicura di trovare il giocattolino.

Rimasi lì inebetito, senza sapere bene cosa fare. Mi sembrava di sentire tutte le mie speranze cadere a terra e rompersi in mille pezzi. Ci avevo fatto proprio la bocca a rivedermi con lei, e davvero mi uccideva dovervi rinunciare. E poi c'era stata la salassata che avevo subito per comprare quel cazzo di gomma. L'idea di riportarmi a casa quell'arnese costoso senza nemmeno averlo usato sapeva dolorosamente e insopportabilmente di beffa atroce.

Dopo qualche minuto il cellulare vibrò ancora. Mi precipitai a leggere.

Non era lei. Era il solito amico buontempone che manda SMS spiritosi a ogni occasione per fare il simpatico. Ognuno di noi ha questa croce. Lessi il messaggio.

"Se vuoi che la Befana ti porti dei regali, ricordati di mettere fuori la calza e non il culo. Altrimenti ti porta un cazzo, come l'anno scorso!"

Girai lo sguardo verso il sedile del passeggero. C'era Gianbattista che mi guardava. Ecco quello che mi ha portato la Befana, pensai amaramente.

"Troppo tardi" digitai in risposta. "Un cazzo, anche quest'anno..." e inviai.

Mi scossi. Non poteva finire così. Non potevo arrendermi. Tornai a fare i conti. Con un po' di culo, prendendola alle 16 a Termini, un paio d'ore d'albergo sarebbero uscite fuori. L'aereo non era proprio alle 20, mi ricordavo che aveva detto 20,15. Qualche minuto da rubare c'era anche all'altra estremità. Due ore di sesso non sono poche, cazzo. Se ne fanno di cose in due ore. Certo bisognava fare tutto di corsa, prima e dopo, e sperare che non ci fosse il minimo impiccio.

Le scrissi ancora.

"Ti vengo a prendere a Termini alle 16. E andiamo in albergo. Cerca solo di farti accompagnare puntuale, ti prego"

Rispose quasi subito. "Ti prometto che farò l'impossibile. Ti adoro"

Quel "ti adoro" mi scaldò e mi rilassò un po'. Ero teso come un cavo dell'alta tensione.

Adesso avevo un paio d'ore senza un cazzo da fare. Mi sdraiai un tramezzino e un caffè ad un bar. Poi pensai che potevo andare a dare un'occhiata all'albergo, per evitare ulteriori imprevisti. Non c'ero mai stato, ma sapevo bene dov'era: lo avevo cercato sul sito delle Pagine Gialle, e avevo visto la sua posizione sulla mappa on line. Comunque, meglio verificare dal vivo, non si sa mai.

Mi recai sul posto. Mi sembrò di vivere in un incubo. Non esisteva nessun albergo nella zona. Mai stato uno dai tempi di Numa Pompilio. Per fortuna avevo annotato il numero civico. 261. Lì eravamo intorno al civico 1300. Le mappe sul sito paginegialle.it, conclusi, sono fatte a cazzo di cane. Che tutti lo sappiano. Se quell'albergo esisteva (ed esisteva, visto che dall'ufficio avevo telefonato per sincerarmi che fosse aperto) era molto più vicino al centro della città.

Nessun grosso danno. Era comunque sulla strada tra la stazione e l'aeroporto. Saremmo dovuti scappare via prima, ma saremmo anche arrivati prima. Decisi comunque di andare a dare un'occhiata. Per come si erano messe le cose, coi minuti contati, meglio verificare ogni dettaglio.

Mi ritrovai in pieno centro abitato. Traffico, negozi, auto in doppia fila, anche se erano appena le 14.30 del pomeriggio. Mi assalì un pensiero. Se l'albergo è da queste parti, speriamo che abbia un parcheggio, altrimenti sono nella merda totale.

265... 263... 261... Incredibile!! L'albergo non c'è!! Come è possibile? Ma che cazzo mi sta succedendo oggi? Sono su "Scherzi a parte"?

Avanzai ancora un po', guardandomi intorno disperato e cercando l'insegna "Hotel". Nulla di nulla. Feci inversione a "U", beccandomi decine di vaffa dagli altri automobilisti, e cercai di guardare meglio.

Non c'è. Ecco il 261. E' un normale portone condominiale, con tanto di citofono. Affiancai in doppia fila e telefonai ancora al numero dell'albergo. Mi rispose una gentile voce femminile.

"Scusi, mi potrebbe dare il vostro indirizzo?"

Me lo feci ripetere. Era quello. Numero 261.

"Ha bisogno di una stanza?" chiese lei.

"Forse... Tra un paio d'ore... Almeno spero!"

Misi in quell'"almeno spero" tutta l'angoscia e la smania di quel momento. La ragazza intuì qualcosa della mia situazione. Immaginai il suo sorriso. Mi disse: "In bocca al lupo, allora. La aspettiamo!" . Che carina, pensai.

Restava da risolvere il mistero del portone. Nessun mistero, in verità. Era chiaro che quell'alberghetto occupava un piano o due del palazzo, e vi si accedeva attraverso il portone. Però decisi che dovevo assolutamente verificare. In una giornata così, meglio non fidarsi di nulla. Ma come fare per il parcheggio? Qui non si trovano posti nemmeno in seconda fila. Maledizione!

Poco più avanti c'era un supermercato con uno spiazzo per le auto. Entrai e parcheggiai. Nessuno mi disse nulla. Poteva essere la soluzione anche per dopo, mi dissi. Ma ero dubbioso. Alle due e mezza del pomeriggio il posto c'era. Ma tra due ore? E poi, ti pare che questi mettono il proprio parcheggio a disposizione di tutti? No, sicuramente più tardi avrebbero messo qualcuno a controllare che a occupare i posti fossero effettivi clienti del supermercato. Altrimenti chiunque ne avrebbe approfittato. Quasi matematico.
Cominciai a immaginarmi la scena. Laura ed io che usciamo dalla macchina parcheggiata e ci dirigiamo con fare indifferente, fischiettando, verso l'ingresso del supermercato sotto gli occhi vigili e sospettosi di qualche guardiano. Per poi uscirne subito dopo, attraversare la strada e fiondarci in albergo. Va bene, ma se i posti erano tutti presi? Già in quel momento non c'era poi tutto questo sciupio di parcheggi liberi. Figuriamoci tra due ore. E di giorno prefestivo, poi. Aspettare che si liberasse un posto significava un improponibile spreco di preziosi minuti. Peggio ancora cercare un parcheggio altrove.

Decisi di non pensarci. Attraversai la strada e mi avvicinai al portone. Lessi sul citofono: c'era il pulsante "Hotel". Beh, almeno l'albergo l'avevo trovato.

Tornai alla macchina e mi diressi verso la stazione Termini. Con molta calma. C'era tutto il tempo. Arrivai alle 15. C'era da aspettare un'ora. Mi sistemai in doppia fila, ad un trecento metri dall'ingresso di Termini. Sarebbe stato impossibile stare per un'ora più vicini di così. Cercai di approfittarne per provare a rilassarmi. In quel momento non potevo fare altro. Dalle quattro in poi sarebbe tornata la fretta, la frenesia, ma in quel momento meglio restare calmi.

Non era facile. Mi resi conto che dovevo pisciare, e con una certa urgenza. Non potevo lasciare la macchina così in seconda fila per ficcarmi nel cesso di un bar. Dovevo per forza trattenere. C'era un'ora da aspettare perché arrivasse Laura, e almeno un'altra mezzora prima di essere in albergo. Sempre se non c'erano altri imprevisti di mezzo. Mi diedi dello stronzo per non aver approfittato del gabinetto del bar. "Quando si è in giro" diceva mio nonno, "non bisogna mai farsi sfuggire l'occasione per bere e per pisciare". Grande saggezza. Avevo anche sete, già che ci pensavo. C'era una bottiglia di acqua Fabia in macchina, ma bevendo avrei peggiorato il problema. A quel pensiero la sensazione di arsura in bocca si decuplicò. Mi ripromisi un sorsetto subito prima di prendere Laura. Altrimenti avrei avuto le fauci talmente secche che se mi dava un bacio ci restava attaccata come col Bostick.

Quell'ora passò con estenuante lentezza, tra continue sbirciate all'orologio e la distratta lettura di un giornale di tre giorni prima. La pressione della mia vescica cresceva, lentamente, ma inesorabilmente. E cresceva la sete. Intanto pensavo a come si sarebbero svolte le cose al suo arrivo in stazione. Abbastanza prevedibile. I cugini l'avrebbero fatta scendere dalla macchina all'altezza dell'ingresso dalla parte di via Giolitti. L'avrebbero aiutata a scaricare i bagagli (sapevo che erano un paio di valige voluminose e qualche altra borsa più piccola). Lei li avrebbe salutati e ringraziati fingendo di dirigersi al binario. Loro sarebbero ripartiti subito. Non potevano certo restare a lungo con la macchina in mezzo. A quel punto lei mi avrebbe chiamato e in trenta secondi sarei stato lì per caricarla. Ripassai mentalmente la sequenza diverse volte. Cosa poteva andare storto?

A venti minuti alle quattro, il cellulare vibrò. Mi aveva scritto che erano in marcia verso la stazione. Le risposi di tenermi allineato, per quanto le era possibile.

Aspettai ancora. Erano passate le 16 da qualche minuto, quando mi scrisse "Sono arrivata, sto scendendo dalla macchina". La cosa più logica per me sarebbe stato restare lì, in attesa che mi chiamasse. Ma la smania di stringere i tempi, la smania di muovermi da quel posto in cui avevo aspettato a lungo, mi spinse a mettere in moto.

L'ingresso della Stazione Termini dalla parte di via Giolitti è uno dei posti più caotici di Roma. Un brulicare affollato di gente, turisti, studenti, pendolari. Ci sono auto che scaricano passeggeri e bagagli, persone in attesa che qualcuno le vada a prendere, una processione infinita di taxi e pullman in arrivo e in partenza. In quel caos cercai di trovare un angolino in cui fermare la macchina senza intralciare nessuno. O almeno senza intralciare troppo. Non fu facile. Trovai una soluzione al limite della decenza e inserii le doppie frecce. Parecchie persone, passeggeri, tassisti, automobilisti, passanti, mi guardarono piuttosto male. Ma era per pochi minuti. Da un momento all'altro Laura sarebbe sbucata tra la folla, con le sue valigie, e l'avrei portata via.

Ma Laura non arrivava, non chiamava, non mandava messaggi. Cosa stava succedendo? Scesi dalla macchina e cercai di guardarmi meglio intorno. Ci sono ancora i cugini con lei? Vogliono portarla fin sul treno? Ma come hanno fatto? Dove cazzo hanno parcheggiato? Intanto continuavo a tempestare Laura di SMS, implorandola di mandarmi un qualsiasi segno di vita.

Il cellulare vibrò. "Sono al binario con mia cugina" diceva il messaggio. Cosa vuole 'sta cugina? Perché non se ne va a casa? I minuti passavano inesorabili. Erano ormai le 16.25. Il tempo per stare con lei in albergo si stava riducendo sempre più ed era un pensiero che mi metteva tremendamente in agitazione. E c'era ancora l'incognita del parcheggio sotto l'hotel. La mia macchina in mezzo cominciava a dare fastidio, e le occhiatacce di chi stava intorno erano sempre più esplicite. C'erano pure dei vigili in avvicinamento. Ero nervoso come una biscia, e la vescica piena peggiorava notevolmente le cose.

Ruppi gli indugi e la chiamai al cellulare. Rispose subito.

"Ehi!!! Ciaoooooo!!! Ma che sorpresa!!"

Ma è scema? Quale sorpresa? Poi capii che stava cercando di mascherare la situazione rispetto a chi aveva davanti in quel momento. Mi dissi, mentalmente, che lo scemo ero io.

"Laura, cosa cazzo succede??"

"Sì... sono a Roma!" continuò a recitare lei, mentre io commentavo tra me "Grazie al cazzo che sei a Roma!"

"Sono alla stazione Termini. Sto per prendere la navetta per Fiumicino... Ho l'aereo stasera... Non sono sola... C'è mia cugina qui che mi fa compagnia in attesa che il treno parta..." Mise una lievissima enfasi in quelle ultime parole. Il messaggio era chiaro.

Vi risparmio il bestemmione che mi uscì dalle labbra.

"Non c'è scampo, vero? Devi partire con quella navetta, vero?"

"Sì... certo! Sicuramente!"

"A questo punto ti vengo a prendere a Fiumicino. Almeno riesco a vederti prima che parti, cazzo!"

E lei, sempre recitando, come se stesse parlando con una cara amica che non vedeva da un po': "Ma certo che ci vediamo! Alla prima occasione, appena possibile... sicuro! Teniamoci in contatto, mi raccomando! Un bacio!"

Tornai in macchina, misi in moto e mestamente mi addentrai nel traffico romano, in direzione aeroporto. Erano saltati ancora una volta tutti programmi. Ero disperato e di umore nero.

Pochi minuti dopo il cellulare squillò. Era Laura. Ora poteva parlare liberamente.

"Mi dispiace moltissimo. Non sono proprio riuscita a scrollarmela. Glielo dicevo continuamente: non ti preoccupare, vai pure, vado da sola. E lei: ma no... non ti lascio sola... ti faccio compagnia... Non ci crederai: sono seduta sul treno e lei è ancora qui fuori, a guardarmi dal finestrino. Un incubo!"

"Ma come hanno fatto con la macchina? A me per poco non mi linciano per essere rimasto dieci minuti lì fuori..."

"Gli altri cugini se ne sono andati via subito. E' rimasta lei sola. Dice che tornerà a casa con la metro..."

Maledizione, proprio una cugina così appiccicosa e protettiva doveva avere?

"Quando parte la navetta?"

"Alle cinque, e ci mette una mezzora..."

Potevo prendermela con calma. L'urgenza a questo punto era un'altra.

Sull'autostrada Roma - Fiumicino mi fermai all'area di servizio della Magliana, e mi diressi rapidamente verso i cessi. Avevo una pressione nella vescica che l'atmosfera di Giove al confronto è un bagnetto per neonati. Sarebbe stata una lunga pisciata.

Usai un orinatoio a muro. Mentre pisciavo, entrò nei bagni il tipico camionista dall'aria burbera e poco raccomandabile. Prese posto ad un altro orinatoio, il più lontano possibile dal mio. Pisciò, sgrullò, si lavò le mani al lavandino, si asciugò col ventilatore e si avviò verso l'uscita.

Io stavo ancora pisciando.

Prima di chiudersi la porta alle spalle mi indirizzò un'occhiata di stupore e ammirazione. Risposi con uno sguardo del tipo "Ho visto cose che voi umani..."

Quando tornai all'aperto, nella piazzola della stazione di servizio, il mio umore era migliorato. Il cielo si stava tingendo dei colori di un tramonto spettacolare, e mi sorpresi ad ammirarlo. Roma stava preparando un saluto speciale a Laura che partiva.

Tornai in macchina e ripartii verso l'aeroporto, riprendendo a pensare a cose pratiche. Volevo stare un po' di tempo solo con lei, in qualunque modo. A questo punto l'unica alternativa era la macchina. Ma i problemi non mancavano. Come facevo a prenderla? Ci si può avvicinare in macchina al terminal ferroviario dell'aeroporto? Lo escludevo. Quella mini stazione, per quanto mi ricordavo, era collegata al resto dell'universo da quella rete di ponti, tunnel, corridoi, cunicoli, scale mobili e tapis-roulant che unisce tutte le varie zone dell'aeroporto e nella quale è un incubo orientarsi.

Le alternative erano due. La prima, la più logica. Dire a Laura di vederci all'uscita degli Arrivi, Terminal A. Io mi sarei tenuto a distanza (non ci si può fermare in doppia fila lì) e appena lei mi avesse avvertito mi sarei mosso per prenderla. Questo però significava costringerla a farsi mezzo aeroporto a piedi, da sola, con i bagagli.
La seconda alternativa era decisamente più carina. Ma richiedeva che trovassi un parcheggio. Non era un problema insormontabile.

Appena arrivato all'aeroporto entrai nell'immenso parcheggio a pagamento e lasciai la macchina al primo posto libero che trovai, in uno spiazzo all'aperto. Cercai velocemente dei riferimenti per ritrovarla. Poi, invece di infilarmi negli ascensori, nei ponti, nei corridoi, scavalcai un guardrail e attraversai la strada dove non si sarebbe potuto. Sti cazzi.

Una decina di minuti dopo il cellulare squillò.

"Sono appena arrivata a Fiumicino. Sto per scendere dal treno. Ma adesso... come ci vediamo? Tu dove sei? Da che parte devo andare?" La sua voce era incerta e dubbiosa.

"Dritta davanti a te. Sono in fondo al binario. Ti aspetto."

"Sei qui?" squittì deliziata. Avevo fatto centro. "Arrivo subito!"

La intravidi da lontano, nella folla che scendeva dal treno, prima che lei vedesse me. Ecco, mi dissi, quella è la donna per cui sto schizzando come un folle da una parte all'altra di Roma da cinque ore in qua, tra sexy shop, bar, alberghi fantasma, autostrade, stazioni, aeroporti. Perché sto facendo tutto questo per lei? Cos'ha di speciale? Nulla, a vederla. Una ragazza normalissima che non avrei degnato di uno sguardo se non l'avessi conosciuta. Perché mi batte tanto il cuore a vederla avvicinarsi? Che cazzo di oscuro incantesimo mi ha fatto?

Poi finalmente mi scorse. Il suo viso si addolcì in un sorriso, e gli occhi le brillarono. Era bellissima. Tutte quelle domande si sciolsero nel nulla. Ci abbracciammo, ci baciammo, ci guardammo ancora negli occhi. Avevamo tante cosa da dirci, ma in quel momento nessuna di quelle tante cose contava.

Tranne una.

"Devo confessarti che ti ho detto una bugia..." le sussurrai dolcemente. Mi guardò sorpresa e un filo preoccupata.

"Quale?"

"Il sexy shop era aperto. La spesa l'ho fatta. Solo che... volevo farti una sorpresa in albergo... per questo ti ho detto che era chiuso."

"Oh..." sospirò lei. Era compiaciuta dal fatto che avessi fatto l'acquisto, e ancora di più che mi fossi preoccupato di organizzare le cose per rendere la situazione più eccitante. Ed era ancora più triste per l'occasione sfumata.

"Non è che riusciamo a trovare un albergo qui vicino?" suggerì speranzosa.

La bestia dentro di me ruggì: "Lo vedi? Che ti dicevo?" Ma anche la bestia, in fondo, sorrideva, come me mentre rispondevo a Laura.

"Figurati. Vicino all'aeroporto sarebbe quattro stelle perfino un sacco a pelo. Ce ne stiamo un po' per conto nostro in macchina. Non si può fare di meglio. Se non altro posso farti vedere la spesa che ho fatto..."

Ci inoltrammo nel labirinto di corridoi e cunicoli, seguendo le indicazioni per il parcheggio a pagamento. La macchina era nel parcheggio all'aperto, vicino al fabbricato del parcheggio D. Era D, ricordavo bene. O era B? No, no, che dubbi avevo. Era D sicuramente.

Seguendo le indicazioni ci ritrovammo al secondo piano del fabbricato D. Lì c'era la cassa automatica per il pagamento del parcheggio. Cercai il tagliandino. Dov'era? Frugai furiosamente in tutte le tasche. Il cappotto ne aveva quattro esterne e due interne. La giacca ne aveva due esterne, più il taschino, e altre due interne. Poi c'erano le quattro tasche dei pantaloni, davanti e dietro, e il taschino della camicia. Le frugai tutte e sedici. Il tagliandino non c'era.

"Temo di averlo lasciato in macchina" dissi a Laura, dissimulando una certa inquietudine. "Devo aver fatto lo stesso gesto di quando entro in autostrada... l'ho infilato sotto al parasole..."

"Bene... allora andiamo alla macchina" rispose lei sorridendo.

L'ascensore ci portò al piano terra e in un attimo ci trovammo all'aperto. Mi diressi verso destra, ostentando una sicurezza ed un senso di orientamento che non avevo. Nel giro di un minuto eravamo persi nella giungla infinita di macchine parcheggiate, e non avevo la minima idea di dove dirigermi. Dove cazzo stava la mia macchina?

Mi guardavo intorno disperato. Non c'era niente che mi aiutasse a ritrovare il filo. Mi ero completamente perso e intanto i minuti passavano. Laura mi guardava, in attesa che mi inventassi qualcosa.

Mi imposi di ragionare con calma. Se quello era il fabbricato D e la mia macchina non si vedeva, la spiegazione non poteva che essere una. "Che era il fabbricato B!" rispose una vocina insinuante dentro di me. No, risposi deciso. Era il fabbricato D. La macchina, semplicemente, sta dalla parte opposta. Avrei dovuto solo girare a sinistra, invece che a destra, appena uscito all'aperto.

Tornammo sui nostri passi e procedemmo oltre. Lo spiazzo davanti al quale mi ritrovai sembrava molto più familiare. "Dovremmo esserci..." dissi speranzoso a Laura.

Spinsi sul telecomando delle chiavi: le frecce della mia auto lampeggiarono a non più di un paio di metri da me. "Eccola!" urlai. "Meno male" aggiunse Laura.
Sistemai velocemente i suoi bagagli, poi mi sedetti al mio posto e abbassai deciso il parasole.

Il tagliandino non c'era.

"Oh, no! Cazzo!" frignai disperato. Nella mente mi si disegnarono scenari cupissimi. Quanto mi avrebbero fatto pagare per farmi uscire di lì? Una volta mi era successa una cosa del genere in un centro commerciale, e dovetti pagare la giornata intera, come se avessi parcheggiato la mattina alle nove. Con le tariffe di quel parcheggio mi sarebbe partito mezzo stipendio. E poi quanto tempo avremmo perso con quell'incidente? Merda merda merda...

"Stai calmo" mi sussurrò lei dolcemente. "Sicuramente è in qualche tasca. Devi solo cercare con calma..."

Cercai. Dalla tasca del cappotto, miracolosamente, emerse il tagliandino. Sospirai di sollievo. Una macchinetta automatica per il pagamento era a due passi. Pagai, tornai in auto, e ce ne andammo di lì.

"Ed ora?" chiese Laura.

"Ci allontaniamo dall'aeroporto... andiamo verso la costa... cerchiamo un posto dove stare tranquilli..."

"Ottimo..." sussurrò lei, con quel sorriso complice che avevo imparato ad adorare.

Non conoscevo la zona, mi muovevo a casaccio seguendo i cartelli che dicevano "Ostia" o "Fiumicino". Ad un certo punto mi ritrovai in una strada che sembrava poco frequentata. Intravidi uno spiazzo sulla destra che portava verso un cancello, allontanandosi abbastanza dalla carreggiata. Non sembrava un cancello attraverso cui passasse molto traffico. Decisi di fermarmi lì. Ormai il cielo era scuro come a notte fonda.

Laura era dubbiosa. "Ma qui ci vedono..." La strada era ad una ventina di metri di distanza.

"Non ci vede nessuno. Noi vediamo fuori, ma dentro la macchina è buio. Nessuno riuscirà mai a vedere cosa succede dentro. E poi tra poco i vetri si appanneranno. Baciami."

Avvicinò le sue labbra alle mie. Le nostre lingue si incontrarono. Intanto l'abbracciavo e la palpavo dappertutto. Era bellissimo sentire il suo corpo caldo. Cominciò presto a sospirare, cominciai anche io. Fuori era freddo. I vetri cominciarono ad appannarsi.

Quelli dietro. Quelli davanti, i più critici per la nostra privacy, erano ancora del tutto trasparenti.

Girai le chiavi, accesi il quadro e inserii il ricircolo dell'aria. Quasi istantaneamente anche i vetri anteriori e il parabrezza presero ad appannarsi. Laura mi guardò con approvazione. Il mio cervello sembrava aver ripreso a funzionare in condizioni di normale efficienza. In due minuti eravamo completamente nascosti dall'esterno, isolati in quello stretto cubicolo.

Portai una mano dietro il suo sedile, sul tappetino in basso, e la tirai fuori con un sacchetto di nailon rosso, contenente qualcosa di cui si intuiva vagamente la forma. Glielo porsi. Lei lo afferrò trovandosi a stringere da fuori l'asta, e percependone l'elastica rigidità.

"Oohh..." sospirò, guardandomi con dolce malizia.

Con cura, aprì il sacchetto e ne estrasse l'oggetto. Nella penombra era indistinguibile da un cazzo vero. Un cazzo molto grosso.

"Ma... WOW!" disse, con un pizzico d'emozione.

"Ti presento Gianbattista. Che te ne pare?" le chiesi, mentre le passavo una mano intorno alle spalle e la stringevo a me.

"E'... è... enorme!"

Dillo, Laura, dillo. Ti prego, dillo! Coraggio, Laura! Dillo, se no m'alzo e me ne vado....
Stavolta mi accontentò.

"Ma guarda che anche tu... mica sei tanto più piccolo di così..."

Amo questa donna, pensai. Volli baciarla, lei rispose con passione. Ci stavamo eccitando.

"Sai come avrei voluto presentartelo... se non si mettevano in mezzo i tuoi cugini, intendo... se fossimo stati soli in albergo..."

"No... dimmi come...."

Le nostre voci erano un sussurro.

"Ti avrei bendata... ammanettata... e ti avrei messo carponi sul letto..."

"Ooohhh sì...."

"Poi ti avrei frustato con la cintura... facendoti ripetere che sei la più lurida delle troie... che ti piace essere scopata e inculata... che sei la mia troia... che per me sei pronta a fare tutto..."

"Oooohhh..."

La baciai. Era caldissima. Quelle parole la stavano eccitando moltissimo. Non aveva difficoltà ad immaginare la scena. Era perfettamente in linea con quello che avevamo già fatto la volta precedente.

"E poi...?" mi chiese in un sussurro.

"Poi ti avrei detto che non ero solo... Che c'era un amico con me... Gianbattista... e che avresti dovuto fare la troia anche per lui..."

"Oooh sii..."

"...Che questo amico era superdotato... E non trovava mai ragazze disposte a dargli il culo... avevano tutte paura perché ce l'aveva troppo grosso... E io lo avevo portato da te... perché sei talmente troia da farti inculare anche da un cazzo enorme come il suo..."

"Ooooohhhh siiiii......"

Le sfilai dolcemente l'arnese dalle mani.

"Poi... mentre eri bendata... avrei cominciato a passartelo sul viso.... sulla fronte... tra i capelli..."

Lei chiuse gli occhi docile, mentre io facevo quello che le annunciavo...

"... te l'avrei messo in bocca... dicendo: dai, troia... succhia il cazzo del mio amico... fagli vedere che bocchini da puttana sai fare..."

Lei spalancò le fauci, ospitandolo tra le labbra con evidente difficoltà.

"... e tu ti saresti accorta di che razza di bestia stavi per prendere nel culo..."

"Mmmmm... E' troppo eccitante... giurami che mi farai tutto questo, la prossima volta... ti prego..."

"No. Ormai non c'è sorpresa. Ma ti prometto che ti preparerò qualcosa di ancora più eccitante... Non mi manca la creatività per queste cose, lo sai..."

"Lo so. E' anche per questo che sono pazza di te..."

Ci baciammo ancora. Mentre la baciavo le slacciai i pantaloni e lei li tirò giù. Ne approfittai per cominciare a carezzarla dentro le mutandine. Era bagnatissima. I suoi sospiri di eccitazione aumentarono di intensità.

"Ti prego... mettimi Gianbattista nel culo... Ne ho una voglia pazza..."

Veramente avrei voluto incularla io. Lo avevo già fatto, le volte precedenti, ma non avevo ancora avuto occasione di arrivare fino all'orgasmo dentro di lei, e mi ero ripromesso di farlo quel giorno. Mi guardai intorno sconsolato. Non c'era modo di trovare una posizione per un'inculata decente. Nella fretta, come un coglione, avevo messo le valige di Laura sui sedili posteriori invece che nel portabagagli, e non era possibile nemmeno ribaltare gli schienali fino in fondo.

Nel frattempo Laura si era girata di fianco, rivolta verso il finestrino, mettendo il suo bel culo voglioso sotto i miei occhi. Cazzo, se me la sarei inculata! Invece toccava a Gianbattista, pensai con invidia. Non l'avrebbe passata liscia.

Impostai la voce in tono più duro.

"Vuoi Gianbattista, eh? Ma lo sai che sei una gran troia? Devo punirti per questo."

Non se lo aspettava. Sospirò forte. Cominciai a sculacciarla con una certa violenza, mentre lei ad ogni colpo ripeteva la frase che le avevo imposto.

"Grazie, tesoro. Me lo merito. Sono troppo ingorda di cazzi grossi nel culo."

Nella ristrettezza dell'abitacolo non c'era troppa libertà di movimento, e i colpi arrivavano sempre sullo stesso punto e con la stessa angolazione. Persino nella penombra era distinguibile la chiazza violacea sulla sua natica sinistra. Mi chiesi quanti altri pazzi furiosi come me c'erano in giro per il mondo, capaci di fare certi giochetti persino quando si è infrattati in macchina.

Dopo una ventina di colpi, recuperai da una borsa un tubetto di crema lubrificante. Ne versai un po' sulle dita e presi ad ungerle il buco. Penetrai con un dito, poi con due, poi con tre. Gianbattista era grosso, e ci voleva una preparazione accurata.

Spinsi le dita tutte dentro, e toccai qualcosa con la punta dei polpastrelli. Laura non era vuota. Questo significava diverse cose. Primo, che Laura si sarebbe divertita parecchio: in questi casi le penetrazioni anali si sentono più "in fondo" perché la spinta meccanica si propaga più in profondità.
Secondo, che nei giorni successivi avrebbe avuto qualche difficoltà ad "andare". Gianbattista nel suo movimento avrebbe sicuramente pressato il materiale, rendendolo più denso e compatto e quindi meno facile da evacuare.
Terzo: il giochino non sarebbe stato troppo "pulito". Avevo abbondanza di fazzolettini e salviettine umide in macchina, ma un bel bagno con tanto di lavandino e saponetta sarebbe stato molto più comodo ed efficace.

Pensai ironicamente al povero Gianba, mentre lo cospargevo di pomata, prima sulla cappella, poi su tutta la sua lunghezza. Era il suo primo giorno di lavoro. Trovarsi subito nella merda fino al collo non era una sorte felice. Già avrebbe avuto uno shock ad esordire in un culo. Situazione beffarda per lui che aveva sempre snobbato e disprezzato quei minuscoli ridicoli "falli anali" che avevano la loro zona riservata nella vetrinetta del Sexy shop. "La vita è dura, fratello" gli dissi mentalmente, "Troppo facile fare il cazzone dietro una vetrina... Il mondo è una giungla... Beh, mi sembri pronto. Vediamo ora come te la cavi...."

Appoggiai, spinsi con decisione. Il buchino fece un po' di resistenza. Laura gemette. Mi riposizionai meglio, cercando di perfezionare l'angolo di entrata. Non era una posizione comoda per lei, ma nemmeno per me, e il coso era grosso. Spinsi ancora e Gianba entrò, tra i rumorosi gemiti e sospiri di Laura. "Dio... è enorme... Uuuhhh... Mi sento spaccare.... Oooohh.... Sì... spingi... dammelo tutto..."

Quel grosso arnese guadagnò ancora centimetri dentro di lei, che gemeva e sembrava goderne da pazzi. Continuai a spingere piano.

"Ooohh... quanto ce n'è ancora fuori?"

Non troppo. Era già quasi tutto dentro quel culetto meravigliosamente goloso. Esagerai.

"Cinque centimetri... più o meno..." Probabilmente erano meno della metà, ma non volevo deluderla.

"Dammelo tutto... mettimelo tutto... ti prego..."

Mi stavo eccitando come un toro. Protagonista o meno, il mio cazzo era una sbarra infuocata nei miei calzoni. Spinsi ancora.

"Ce l'hai tutto dentro..." le annunciai.

Gemette deliziata. "Dio mio... l'ho preso tutto nel culo... così grosso... che troia che sono... mi eccita da morire... Ooohhh..."

Quanto mi faceva arrapare quella donna! "Girati verso di me e baciami" ordinai secco.

Si girò, e io le passai il braccio dietro la schiena riposizionando subito la mano sulle palle di Gianba, l'unica cosa rimasta all'esterno a fungere da comoda impugnatura, e ripresi a muoverglielo su e giù. Lei stava gustandoselo alla grande, e lo manifestava.

Tra un bacio e l'altro mi sussurrava "Mi fai impazzire... mi fai sentire porca... non avrei mai pensato di fare certe cose prima di conoscerti... voglio essere la tua troia... la tua puttana... per sempre..."

Nel frattempo, mentre con la destra continuavo a smuoverle l'arnese di gomma nel culo, con la sinistra mi ero slacciato i pantaloni e avevo tirato fuori il mio. Svettava duro e orgoglioso, pronto a sfidare ogni concorrente.

"Succhiamelo, troia... prendilo in bocca..."

Non si fece pregare. Si chinò sul mio grembo e presto la sua bocca morbida avvolse la mia cappella. Nella nuova posizione l'accesso al suo culetto era più agevole, e cominciai a muovere Gianbattista in lunghi e voluttuosi affondi, al posto delle millimetriche vibrazioni che riuscivo ad impartirgli fino a un attimo prima. Laura dimostrò di gradire quel cambio di ritmo con un lungo rantolo, soffocato dal mio cazzo nella sua bocca. Poi riprese a sbocchinarmi con rinnovato entusiasmo.

Con un cazzo in culo, recita un vecchio adagio, i pompini si fanno meglio. Valeva anche se il cazzo in culo era di gomma? Sembrava proprio di sì. La sua bocca stava facendo magie.

Improvvisamente si fece giorno. Due fari puntarono dritto l'abitacolo della mia auto.

Laura si mosse come un fulmine. Dopo 28 centesimi di secondo, aveva 1) sfilato Gianbattista dal culo, lasciandomelo in mano; 2) rimesso su le mutandine; 3) rimesso su ed allacciato i pantaloni; 4) riportato il sedile in posizione verticale; 5) rimesso a posto il trucco usando lo specchietto di cortesia.

Io invece ero rimasto assolutamente immobile, con un cazzo di fuori e un altro cazzo in mano.

Tornò subito il buio. Era stata solo un'auto che aveva approfittato dello spiazzo per far manovra, finendo inevitabilmente per puntarci i fari addosso per qualche secondo.

Scoppiammo in un'allegra risata. Un po' per il sollievo dopo l'attimo di paura. Un po' perché eravamo entrambi un po' ridicoli, lei per la sua rapidissima e frenetica reazione, io per la posa in cui ero rimasto imbalsamato. Ridemmo a lungo. Questi sono i momenti in cui ti rendi conto di quanto stai bene con un'altra persona, quando c'è una complicità e una sintonia che va oltre le cose di letto. Che pure, come sapevamo entrambi, erano la sola cosa che ci univa.

Tornammo a baciarci. Gianbattista aveva bisogno di una accurata pulita e provvedemmo. Stavo pensando a come andare avanti, ma fu lei a prendere l'iniziativa.
Si chinò su di me e tornò a prendere in bocca il mio cazzo.

La brusca interruzione luminosa, e l'attimo di panico irrazionale che ne era conseguito, ne avevano un po' stemperato l'orgoglio. Ma rispose subito alle stimolazioni di Laura, e presto tornò in splendida condizione. D'altra parte in quel momento era finalmente protagonista assoluto, come piace a lui.

Un cellulare vibrò rumorosamente. Imprecai tra me. Era il suo. "Ti chiamano..." le dissi.

"Non me ne frega un cazzo..." sussurrò decisa lei, continuando a succhiarmelo con grande passione. Questa cosa mi eccitò da morire. Una vera estasi per il mio protagonista. Ascoltai divertito i successivi disperati ronzii del telefonino, cui Laura sembrava opporre un meraviglioso controcanto di risucchi e mugolii. Presto l'apparecchio desistette e si ammutolì,

Sentii crescere prepotentemente il piacere. Istintivamente cominciai ad agitarmi per trovare il modo di restituire piacere a lei. Aveva i pantaloni tirati su, e cominciai a cercare la strada per arrivare ai suoi bottoni.

"Fermo... rilassati..." mi sussurrò lei sospirando. "Pensa a goderti la mia bocca... stai giù... lascia fare me..."

Accettai il suggerimento. Chiamai a raccolta tutto il mio egoismo erotico, tutto il mio cazzocentrismo, e decisi di godermi quel pompino senza pensare ad altro, alla faccia di chi mi vuole male.

Per un attimo pensai che forse era il caso di resistere. Non sia mai si trovasse il modo di sistemarci in modo da potermela scopare, o inculare. Non era meglio evitare di venire subito? Non era meglio tenersi la cartuccia in canna fino alla fine? O almeno per un altro po'?

Fu lei sciogliere ogni ultima remora.

"Ti prego vieni... voglio sentirti venire in bocca... voglio bere il tuo sperma..."

Mi lasciai andare. Fu un orgasmo bellissimo e intenso, nel quale scaricai tutta la tensione di quel movimentato pomeriggio. Laura continuò a mungere gocce residue dalla punta per raccoglierle con la lingua.

"Voglio berti, fino all'ultima goccia..."

Ero in paradiso. Anche lei sorrideva felice. Era soddisfattissima di avermi fatto godere così. Ci abbracciammo e ci baciammo ancora. Mi aveva raccontato che alcuni suoi partner precedenti evitavano di baciarla dopo aver ricevuto un pompino. Io invece trovavo estremamente eccitante sentire le tracce del mio sapore nella sua bocca. Ma anche se mi avesse infastidito, avrei sopportato. Ma, dico! Una ragazza ti fa un pompino con l'ingoio e tu la schifi? Le rifiuti perfino un bacio? Certa gente meriterebbe la castrazione chimica.

L'associazione di pensieri mi permise di notare un particolare. Di solito dopo un orgasmo un uomo prova il desiderio che la partner si tolga dalle palle. E' una cosa molto profonda e ancestrale, legata a chissà quale situazione di vita selvatica, che generalmente viene repressa e ignorata dall'uomo moderno civilizzato, in modo che all'esterno non traspaia assolutamente nulla. Da bravi partner, su imbeccata di schiere di sessuologhe da rotocalco, abbiamo imparato che è cosa brutta sporca e cattiva (come d'altra parte il 99% degli istinti naturali di noi maschietti), e quindi ci affanniamo ad essere tutti dolcini e affettuosi, pucci pucci, cicci cicci, in quei momenti. Però se siamo proprio sinceri, dobbiamo ammettere che in fondo in fondo un filino di questa sensazione la proviamo. Almeno a me succede.

Ecco, in quel momento mi accorsi che con Laura non mi accadeva. Provai ad ipotizzare una ragione. Secondo me Laura mi eccitava così tanto a livello mentale, che anche quando il fisico era nella fase post orgasmica, in cui non era più particolarmente sensibile ai richiami dell'attrazione sessuale, continuavo ad aver voglia di lei.

Guardai l'ora. Erano le 18:15. C'erano ancora tre quarti d'ora da passare insieme a giocare con il suo corpo e a darle piacere. Non mi sembrava più un tempo così assurdamente angusto. Ma non lo avrei pensato con una stanza d'albergo a disposizione.

I pantaloni e le mutandine scivolarono ancora verso le sue caviglie, e ripresi a baciarla e ad accarezzarla tra le cosce. Cominciò subito ad eccitarsi e a gemere.

"Sai cosa mi dispiace un sacco?" mi disse con la sua voce sospirosa, che trovavo sempre arrapantissima.

"Cosa?"

"Che qui dentro non puoi usare la tua cintura su di me..."

"Perché no?" replicai.

Con un gesto elegante e sicuro sfilai la cintura dai passanti. Sembravo Zorro che estrae la sciabola. Antonio Banderas poteva al massimo strigliarmi il cavallo.

A Laura brillarono gli occhi.

"Girati, tesoro" le dissi. "Non ci facciamo mancare niente."

Eccitatissima si rivolse di nuovo verso il finestrino, offrendomi la sua natica sinistra. La destra se ne stava riparata a contatto con il sedile. Sarebbe mancato l'effetto stereo, ma non si può avere tutto.

Le spiegai che ad ogni colpo le avrei rivolto un epiteto offensivo, e lei avrebbe dovuto confermarlo e amplificarlo in un certo modo. Cominciai.

"Troia!" SCIAFF.

"Sì, tesoro. Sono una grande troia. La tua troia..."

"Puttana!" SCIAFF.

"Sì tesoro. Sono una gran puttana. La tua puttana..."

Malgrado la posizione sacrificata si riusciva a lavorare abbastanza bene. Sentivo un'ottima padronanza dell'intensità dei colpi, e decisi di spingere un po' sull'acceleratore. A lei piaceva, e il tono con cui rispondeva ai versetti del salmo lo testimoniava efficacemente.
Continuai con "mignotta", "zoccola", "cagna in calore", "baldracca", "bagascia".

Poi:

"Troia!" SCIAFF.

"Troia?" fece lei.

"Ho finito i sinonimi... ho dovuto ricominciare daccapo..."

"Oohh sì, sì... ricomincia!"

"Troia!" SCIAFF.

"Sì tesoro! Sono una grande troia. La tua troia..."

A metà del terzo giro il suo cellulare tornò a vibrare. Lei non se ne accorse nemmeno, coinvolta come era da quello che le stavo facendo. Imprecai.

"Porca puttana!"

"Sì, tesoro! Sono una gran..."

"Ma no... dico porca puttana, il tuo cellulare... sta vibrando..."

Se ne rese finalmente conto, ma reagì come prima.

"Non me ne frega un cazzo! Continua, ti prego!"

Continuai. "Zoccola!" SCIAFF.

Alla fine del quarto giro decisi che poteva bastare. Aveva una grossa macchia scura sulla natica, come effetto dei colpi subiti. Non si distingueva bene il colore, al buio, ma immaginai che fosse di un bel rosso acceso. Nei prossimi giorni avrebbe assunto man mano nuances diverse, come una pipa di schiuma, sfumando verso il viola, per poi assumere una tinta giallo-livido. Peccato non poter seguire direttamente quell'evoluzione, ma pensai che Laura mi avrebbe informato sui particolari.

Impugnai di nuovo Gianba e guardai Laura, con implicito invito. Lei mi sorrise.

"Aspetta. Fammi controllare chi era al cellulare. Se no continuano a chiamare..."

Cominciò a rovistare nella sua borsetta, poi in una più grande, poi provò nelle tasche del suo soprabito.

"Diavolo... non riesco a trovarlo..."

"Aspetta," risposi "Ti chiamo con il mio..."

L'espressione del mio viso mostrava tutto il mio autocompiacimento per quella idea geniale. Ma cambiò radicalmente quando le mani tastarono a vuoto sul mio fianco destro.

"Cazzo... dov'è il mio cellulare?"

"L'hai perso anche tu?" mi chiese, divertita.

Ricordai che pochi minuti prima avevo tolto la cinta, ed il mio telefono era in una custodia infilata proprio nella cinta. Con quel gesto da Zorro coglione l'avevo fatto finire chissà dove.
Ci ritrovammo così entrambi, lei con il culo di fuori, io con i calzoni mezzo abbassati, a scapriolarci per la macchina in cerca dei rispettivi telefonini.

Arrivai prima io. Chiamai e presto anche Laura individuò il suo, andando subito a consultare la rubrica delle chiamate senza risposta.

"Era mia cugina..."

"Ancora lei?" urlai.

"Fammela chiamare..."

La chiamò. La trovò terrorizzata per le due mancate risposte. La tranquillizzò. Le spiegò che prima era al check in e non poteva rispondere perché aveva le mani occupate dai bagagli. Alla fine, faticosamente, riusci a riattaccare.

"Se penso che è colpa sua se ora siamo qui e non sopra un comodo letto matrimoniale..." commentai.

"Però non è andata così male, dai!" disse lei. "Ci stiamo divertendo, vero?"

Aveva ragione. Non era il miglior sesso immaginabile, ma non avrei mai dimenticato quei momenti e quella giornata folle. Per associazione di idee mi tornarono in mente quei mitici dieci minuti di sesso infuocato che avevo passato in un cesso della facoltà di Biologia con una ragazza speciale e indimenticabile. Sospirai e tornai al presente. Avevo ancora Gianbattista in mano.

"Ma non hai voglia di provarlo nella fica?" le chiesi

"Stavo proprio per chiedertelo..." rispose con una strizzata d'occhio.

Tolse del tutto pantaloni e mutandine, poi si sdraiò sul sedile semireclinato, allargò le cosce ed alzò le ginocchia. Mi avvicinai a lei. Verificai che la sua fighetta fosse bagnata, e la accarezzai un po' con le dita per prepararla ancora meglio. Poi, con la sinistra, introdussi Gianbattista. Ero con il volto vicinissimo al suo, e potevo leggervi le sue sensazioni. Gianba si sentiva bene, grosso, anche davanti.

"Ti piace?" le chiesi.

"Sì... moltissimo..." sussurrò lei.

Non sapevo se esserne compiaciuto o ingelosito. Mi piaceva, in assoluto, darle piacere. Ma mi agitava il sospetto che potesse preferire lui a me. Non osavo farle domande dirette in proposito. La risposta sbagliata mi avrebbe ucciso, mentre la risposta giusta non mi avrebbe tranquillizzato. Avrei temuto che lo avrebbe detto solo per compiacermi, perché la mia domanda era troppo trasparente sui miei timori. E poi era pure giusto lasciarla in pace a godersi il coso, senza assillarla ogni momento con le mie paranoie.

Ci penso lei.

"Stammi più vicino..." mi sussurrò, "baciami, ti prego... Così mi sembra che sia tu a scoparmi..."

Donna adorabile. La baciai, poi le dissi "Anche io ho un desiderio folle di scoparti, sai..."

"Anche io..." ribadì, "mi piace da impazzire scopare con te... mi piace come mi scopi... ma quando tornerò scoperemo... un sacco... fino a non farcela più..."

Ero tornato felice e tranquillo. Decisi di premiarla.

"Ti è mai successo di essere scopata e leccata contemporaneamente?"

Andavo sul sicuro. Anche se avesse avuto esperienze "multiple" sono pochissimi gli uomini disposti a slinguazzare a pochi millimetri da dove stantuffa un cazzo altrui.

"No... mai..."

"E... vuoi provare che effetto fa?"

"Oh, sì... ti prego..."

Mi chinai verso il suo grembo. Quella posizione mi riportava indietro nel tempo, agli anni delle prime eroiche infrattate in macchina. Non era comodissimo dover lavorare con la lingua di taglio ma sapevo per esperienza che la cosa poteva avere risvolti positivi, con la giusta abilità. Sfiorare i contorni del clitoride con il taglio, invece che con la punta, permette di... Vabbè, ma che sto a fare un trattato?

Invece, fare il lavoretto continuando con la sinistra a smuovere dentro e fuori Gianbattista, era una novità assoluta, per me. Tutto un po' faticoso, ma Laura si divertiva tantissimo. Non venne, ma almeno un paio di volte ci andò vicinissima. Almeno così mi sembrò.

Chissà quanto c'è di psicologico, e quanto di davvero fisico, in questo discorso dei suoi orgasmi, mi chiedevo. Magari c'è un meccanismo inconscio che deriva dalla paura di perdere completamente il controllo in presenza di un uomo. Sembrava del tutto verosimile. Io andavo in giro a comprare mega cazzi di gomma, mi facevo mille seghe mentali sui miei centimetri e la mia tecnica, mentre forse bastava aspettare che gradualmente si creasse un'intimità speciale tra lei e me. Non potevo aspettarmi miracoli: era appena la terza volta che la vedevo. In fondo anche l'acquisto di Gianba in quest'ottica non era completamente inutile: serviva ad aumentare il senso di complicità e di gioco tra di noi. A patto che non facessi l'errore di considerarlo una specie di apriscatole della sua sessualità, o peggio ancora come un cazzo rivale. Se fossi riuscito, con pazienza, con dolcezza, con amore, a rimuovere quegli oscuri ostacoli psicologici, pensai, Laura sarebbe stata senza dubbio una fontana di orgasmi.

Hanno voglia le sessuologhe a ripetere che l'orgasmo femminile non è così importante, che la donna può avere moltissimo piacere anche senza raggiungere l'orgasmo. Sti cazzi. E' importante per noi uomini. E' quasi più importante degli orgasmi nostri. Anzi, senza "quasi". E allora? Conteremo un cazzo di qualcosa anche noi, signore sessuologhe, dentro queste cazzo di camere da letto? O no?

"Ok... Basta così... Non ce la faccio più..." Dopo essersi gustata per lunghi minuti l'azione combinata di Gianba e della mia lingua, Laura interruppe il flusso dei miei pensieri. Si fanno profonde riflessioni mentre si lecca la fica. E' un atto che aiuta la meditazione. Dovrei farlo più spesso. Ci sono volontarie che si prestano?

Estrassi gentilmente Gianba. Uscì tutto lucido dei suoi succhi.

Tornai vicino a lei e glielo mostrai. "Che ne dici, allora? Come se l'è cavata l'amico al suo esordio?"

"Decisamente bene, direi... un ottimo acquisto... Sei stato carino a comprarlo per me"

Sentii di nuovo quel piccolo morso di gelosia. Mi diedi del coglione. Non potevo pretendere che ogni volta che si parlasse di Gianba lei cantasse i peana del mio cazzo. Anche perché, oggettivamente, quest'ultimo non aveva ancora fatto abbastanza per meritarseli. Se proprio mi seccava potevo evitare di farle domande in proposito. Ma ora dovevo dire qualcosa. Che senso aveva far cadere quel discorso così?

"Beh io... sono contento, perché... ecco, per me l'importante è che quando sei con me stai bene... e ti diverti... e godi... e se ti piace giocare con Gianba, io..."

Mi accorsi di dire queste cose con una vocetta triste triste.

"Ti amo" mi disse lei. Così, semplicemente.

Strabuzzai gli occhi. Non me l'aspettavo. Un turbine caotico di emozioni mi assalì. Mi sentivo felice, ma anche imbarazzato. Un po' stupido, perché avrei voluto dirglielo io. E adesso cosa risponderle? Il banale, scontato, odiosissimo "anche io"?
Mentre cercavo le parole, lei parlò ancora.

"...Come amante, intendo."

Certo, era chiaro. Lei aveva la sua vita, io la mia. Tutto quello che c'era tra noi si esauriva in incontri clandestini dedicati al sesso. Ma che senso ha dire "solo sesso"? "Solo"? Cosa può unire due persone più del sesso? E "solo sesso", senza "conseguenze", non vuole in fondo dire che stiamo parlando di sesso puro, sesso incontaminato, sesso a 24 carati, al massimo grado di intensità e potenza?

Gran bel discorso, acuto e profondo, ma che non mi risolveva il problema più urgente di trovare qualcosa di sensato da dire in quel momento.

"Laura, io... io..."

"Non dire niente. Baciami..."

Ci baciammo a lungo.

Era ora di riportarla all'aeroporto. Eravamo allegri. Il piacere di quell'ora di sesso appena vissuta stemperava il dispiacere per l'imminente separazione.

L'aiutai a scaricare i bagagli e mi ritrovai lì, con lei, sul marciapiede fuori dalle Partenze. Ci guardammo.

"Torna presto, ti prego."

"Puoi contarci" mi rispose sorridendo. "Ho messo le mani su uno come te, figurati se me lo faccio scappare..."

L'abbracciai.

"Beh, io vado..."

"Buon viaggio, e fatti viva... restiamo in contatto..."

"Ma certo!"

Mi avviai verso casa pensando, inevitabilmente, a lei. Quel "ti amo" dolcissimo continuava a risuonare nelle orecchie, nella testa e nel cuore, rendendo ridicole e inconcepibili tutte le seghe mentali che mi avevano accompagnato in quel pomeriggio. Il cazzo protagonista, la rivalità con Gianbattista, le assurde gelosie per un pezzo di gomma, i confronti, le misure.

Cosa può volere un uomo dal sesso? Se la risposta fosse superficialmente "il piacere", non potevo essere più contento di così. Con Laura avevo goduto e avrei sempre goduto come un pazzo. Una bella ragazza, sensuale, capace di essere deliziosamente troia al momento giusto, disponibile tanto a tutti gli atti "standard", quanto a sperimentare ogni tipo di giochetti "strani". Una partner erotica da sogno, per uno coi miei gusti.
Se invece avessi voluto dare una risposta meno superficiale, sostenendo che nel sesso uno cerca un contatto profondo, il più profondo possibile, con una persona da cui si è attratti, potevo ugualmente essere assolutamente felice. Non si dice "Ti amo" per caso. Se era vero che Laura mi era entrata dentro fino al midollo, era sicuramente vero anche il viceversa.

Questo era quello che contava. Al diavolo la ricerca ossessiva di tutte quelle meschine e infantili gratificazioni dell'ego, il supercazzo, il grande scopatore, l'insostituibile, l'ineguagliabile. Palle! Roba da bulletti complessati, da pseudomandrilli da spiaggia, da patetici micho-macho da bar di periferia, che niente aveva a che fare con una persona come me, evoluta, sensibile, con una raffinata concezione del sesso.

Ciò non toglie, pensai, che quando mi ricapita sotto le do tanto di quel cazzo in fica e in culo da farla starnazzare di goduria come come una cinciallegra in calore. Cazzo vero, di carne, cazzo mio. Voglio lasciarla aperta come una fotocopiatrice con la carta inceppata. Le faccio vedere di cosa è capace 'sto tirannosauro che c'ho nelle mutande. Altro che cazzi finti.

Laura... Dio, quanto mi mancava! L'avevo salutata da appena dieci minuti, eppure...

La mano scivolò inarrestabilmente verso il cellulare. Le scrissi un sms.

"E' stato tutto bello oggi. Sei stata perfetta. Tranne quando mi hai detto 'ti amo'. Perché avrei voluto essere io il primo a dirlo a te."

Non rispose subito. Mi infilai in un centro commerciale per comprarmi qualcosa per cena. Quando ne uscii, e il cellulare tornò a prendere il segnale, mi arrivarono due suoi messaggi.

Il primo: "Me lo hai detto tante volte, a modo tuo. Ora spengo, sto per imbarcarmi. Ti abbraccio forte forte"

Il secondo: "Mi fa male il culetto. Tanto tanto male."

Mi chiesi se il dolore fosse per il buchino, violato da Gianba, o per la chiappa sinistra oggetto di sculacciate e cinghiate. Forse entrambe le cose.

Guardai l'ora. Più o meno in quel momento stava decollando. Osservai il cielo verso Fiumicino con la pazza speranza di individuare il suo aereo in volo nel cielo notturno. Mi sembrò di vederne uno e indirizzai il pensiero in quella direzione.

"Torna presto, Laura. Ti aspetto."

Poi mi accorsi che non era un aereo. Era una stellina. Andava benissimo lo stesso.

 

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