La Leccornia
"Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita, vagheggiata, adorata. Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza di quasi tutte le donne."
Mirandolina in "La Locandiera". Carlo Goldoni, 1751
Adelaide cercò di trattenere un gridolino di piacere. Non ci riuscì, ma nessuno intorno a lei sembrò farci troppo caso. Forse era un po' condizionata dall'abito. Portava un elaborato vestito color lavanda da dama veneziana del '700, e ciò la spingeva a cercare di mantenere un minimo di aristocratico contegno. Una vera dama, pensava, deve comportarsi in un certo modo. Cercò allora di tornare ad assumere un'espressione composta sotto la graziosa mascherina dorata che portava sugli occhi. Impostò le labbra su un blando sorriso e con aria svogliata riprese a sventolarsi con il ventaglio ricamato che faceva pendant con il costume, tornando a concentrarsi sulle piacevolissime sensazioni che sentiva arrivare dal basso ventre.
Guardandosi intorno, però, dovette costatare che nemmeno le altre dame, sedute nelle poltrone vicino alla sua, anche loro in rigoroso costume settecentesco, riuscivano a mantenere un aplomb particolarmente convincente. Eugenia ansimava come un mantice, Giustiniana gemeva rumorosamente, Geltrude non riusciva a stare ferma. Per non parlare delle altre, più lontane, di cui non riusciva a leggere il nome, tutte visibilmente in brodo di giuggiole.
Era evidente che anche i loro rispettivi cavalieri stessero facendo un ottimo lavoro. In genere gli uomini non sono così bravi con la lingua, si disse Adelaide. Ma era pur vero che i partecipanti alla "Festa della Leccornia" non potevano essere presi come campione rappresentativo, poiché si trattava sicuramente di uomini con una particolare inclinazione verso quell'atto. E poi, secondo Adelaide, c'era un altro fattore determinante. Un uomo che si trovi con una fragrante passerina sotto il naso viene preso subito dalla frenesia di passare ad altri atti e non riesce a concentrarsi come dovrebbe nella leccata. Durante quella festa invece, per fortuna, c'erano regole precise che escludevano ogni altro tipo di interazione, quindi non c'era spazio per distrazioni. Regole benedette, secondo Adelaide, e che non dovevano essere troppo sgradite nemmeno ai signori uomini, visto che ogni anno, a Carnevale, sgomitavano per ottenere l'agognato invito alla Festa tanto quanto, forse persino di più, delle stesse donne.
Le scappò un altro gridolino godurioso e fu richiamata al presente. Terenzio le aveva infilato due dita nella vagina. Era talmente bagnata, lì sotto, da non essersene nemmeno accorta, se non quando lui aveva diabolicamente preso a stuzzicarla con i polpastrelli rivolti verso l'alto, senza allentare di una virgola il ritmo della danza frenetica della sua lingua intorno al clitoride. Le due stimolazioni contemporanee, dentro e fuori, la stavano facendo impazzire.
Con la mente cercò di ricostruire la posizione del tizio che la stava servendo, completamente nascosto sotto la stoffa della sua ampia gonna. Inginocchiato sul pavimento, con la testa tra le sue cosce, il braccio innaturalmente ruotato per tenere le dita e i polpastrelli nell'orientazione giusta e la lingua tutta fuori dalla bocca a spennellare instancabilmente. La mascherina e la parrucca, che gli uomini erano tenuti a indossare anche durante le prestazioni, probabilmente gli rendevano le cose ancora più complicate. Pensare ai disagi dell'uomo che la stava sollazzando sotto il vestito era gustosamente intrigante. Anche perché lei invece stava comodissima. Quelle poltrone sembravano appositamente progettate per permettere a una donna di godersi un lavoretto di lingua nel massimo relax: lo schienale era dolcemente inclinato all'indietro, e c'erano comodi appoggi laterali rialzati su cui adagiare i piedi in modo di poter tenere le ginocchia sollevate e le cosce aperte senza il minimo stress. Adelaide sospettava che fossero poltrone ideate e realizzate proprio per quello scopo, in tempi recenti, anche se rifinite nello stile rococò del resto del palazzo.
Terenzio intanto ansimava nello sforzo di continuare a muovere senza sosta lingua e dita, e Adelaide percepiva il suo fiato caldo che le sfiorava il pube. Pensò che il tizio non dovesse nemmeno avere troppo ossigeno da respirare, lì sotto. In compenso l'aria intorno al suo naso era senza dubbio riccamente intrisa di un odorino intenso e penetrante. L'idea che quell'uomo si stesse riempendo i polmoni dei suoi profumi intimi fino a stordirsene era perversamente eccitante. Adelaide sentiva il picco del piacere ormai vicinissimo mentre tra le sue cosce lui cercava affannoso di velocizzare sempre di più il ritmo delle stimolazioni.
I suoi occhi si posarono sui polpacci dell'uomo sul pavimento. Erano inguainati fino alle ginocchia nelle bianche calzette che erano tipiche nei costumi maschili del settecento. Sporgevano fuori dall'orlo del suo vestito color lavanda, ed erano l'unica parte visibile all'esterno dell'uomo che la stava leccando. Sul pavimento, al fianco dei piedi, calzati in leggere scarpette di cuoio nero chiuse da una fibbia, era poggiato il cappello, altro accessorio immancabile dei costumi d'epoca. Adelaide si guardò intorno e notò le altre coppie di polpacci bianchi, con tanto di scarpette nere ai piedi e cappello posato accanto, che sbucavano puntualmente da sotto le gonne di tutte le altre donne gaudenti sedute sulle poltrone intorno a lei, muta testimonianza del frenetico lavorio che ogni uomo stava producendo sotto il riparo di stoffe e broccati per offrire piacere alla rispettiva dama. Per qualche ragione quell'immagine fu la scintilla che le scatenò l'orgasmo.
Adelaide gridò, stavolta più forte e più a lungo, ma Terenzio continuò indefesso a stuzzicarla con lingua e dita per qualche ulteriore sconvolgente secondo, costringendola a gemere ancora di piacere, finché lei con un gentile colpetto sul proprio vestito, all'altezza del proprio grembo, in corrispondenza alla nuca di lui, gli segnalò che poteva bastare.
L'uomo emerse da sotto l'abito col viso arrossato, la fronte sudata, ancora leggermente ansimante, ma visibilmente soddisfatto del risultato ottenuto. Adelaide gli passò con soave grazia una salviettina umidificata, estratta da una scatolina posta su un tavolinetto al fianco della poltrona. Lui la prese e tornò a immergersi sotto il vestito, adoprandosi con estrema delicatezza ad asciugare e rinfrescare per bene tutta la zona. La dama doveva essere messa in condizione di affrontare il seguito della festa ben pulita e a proprio agio. Inoltre era opportuno lasciare le cose in ordine per il prossimo che l'avrebbe esplorata con la lingua.
Una volta terminata l'operazione, l'uomo si alzò in piedi e omaggiò Adelaide di un raffinato inchino.
"Siora Adelaide, xe stà un piaser!" le disse con sobria cortesia. Adelaide notò che aveva il mento tutto impiastricciato e i baffi impregnati di saliva e di umori.
"Il piacere è stato mio, sior Terenzio" rispose compita, ma con voce ancora leggermente affannata.
"Mi so Venanzio, siora, no Terenzio" la corresse lui, mostrando il cartellino che aveva appuntato sul petto.
"Oh... Venanzio, certo... pardon..." disse lei, con un filo di imbarazzo. Tolse uno dei fiori finti color lavanda, in tinta col vestito, che le adornavano la parrucca e con gesto solenne glielo offrì. Il sorriso dell'uomo si fece più luminoso. Ringraziò e si profuse in un nuovo elaborato inchino, cui lei rispose inclinando leggermente il capo. L'uomo ripose il fiore nel taschino, dove già ce n'erano mezza dozzina di altri di vari colori, e si allontanò allegro. Si era già dato parecchio da fare, il buon Venanzio, notò Adelaide.
Nel complesso galateo di quella festa, l'offerta del fiore significava che la dama aveva gradito l'omaggio orale. Ogni costume femminile, tra parrucca e vestito, era ornato da un numero abbondante di questi fiorellini. In realtà capitava molto di rado che una dama non offrisse il fiore al termine della prestazione, ma non era affatto obbligatorio che lo facesse. L'uomo non aveva il diritto di richiederlo, né di farne menzione, e una dama poteva tranquillamente congedare il cavaliere che l'aveva servita senza offrire il fiore e senza dare spiegazioni in merito, se il servizio che aveva ricevuto, a proprio insindacabile giudizio, non fosse stato del tutto soddisfacente. In questo modo gli uomini erano motivati a fare le cose come si deve, e il loro volenteroso impegno era motivo di estasiata soddisfazione per le dame. Inoltre, sebbene non ci fosse nessuna vera e propria gara, gli uomini ci tenevano a non farsi vedere in giro durante la festa, e meno che mai alla fine della festa, con troppi pochi fiorellini nel taschino. Nessuno poteva permettersi di battere troppo la fiacca.
Dopo essersi ripresa per qualche secondo, Adelaide lasciò la poltrona e si diresse verso la sala centrale della festa, quella delle danze, maledicendosi ancora per la gaffe del nome. Terenzio, Venanzio... era facile confondersi, che diamine! Terenzio doveva essere stato uno dei tizi che l'aveva servita in precedenza. Ma tanto, cosa importava?
Non erano nomi veri, come non lo era nemmeno Adelaide. I nomi, insieme al costume completo di ogni dettaglio, venivano assegnati all'inizio della festa, ed erano tutti nomi volutamente antiquati, adatti all'ambientazione, probabilmente pescati a piene mani dalla letteratura d'epoca. Nessuno usava il proprio nome reale: l'identità dei partecipanti era nascosta nel più assoluto anonimato. I costumi facevano il resto: in quegli abiti, con le parrucche indossate sulla testa e l'immancabile mascherina sul viso era davvero difficile riconoscere chiunque. Anche laddove si fosse riconosciuta un'altra persona, era nello spirito della serata dissimulare la cosa. Ci si rivolgeva al prossimo usando il nome scritto sul piccolo cartellino colorato che ognuno portava spillato sul petto. Il gioco prevedeva inoltre che ci si desse del "lei" e che il linguaggio da usare fosse affettatamente cortese e aulico, se possibile con una spruzzata di veneziano.
Appena tornò nella sala grande, Adelaide fu investita da luci, suoni e colori. La musica fluiva da potenti altoparlanti, ma non riusciva facilmente ad averla vinta sul diffuso chiacchiericcio. Fascioni colorati e stelle filanti pendevano da ogni dove, mentre il pavimento di marmo era punteggiato dall'inevitabile coltre di coriandoli. C'erano cinque o seicento persone, tra donne e uomini, tutti mascherati in perfetto stile settecentesco, con colori vari ma sempre piuttosto sgargianti. Gli uomini perlopiù portavano semplici mascherine nere sugli occhi. Le donne invece avevano più facoltà di scelta, nella foggia e nel colore. Molte mascherine erano in tinta con il vestito e adornate di artistici motivi floreali, oppure modellate a ricordare una farfalla multicolore. Ma se ognuna delle dame portava una maschera sul viso, nessuna di loro sotto il vestito indossava mutandine. Le regole della festa erano chiare su questo punto: le zone intime femminili dovevano essere comodamente accessibili. Questo non impediva alle dame di indossare altri raffinatissimi capi di biancheria intima. Adelaide, per esempio, sotto il vestito aveva delle calze bianco panna di pizzo ricamato tenute su dai gancetti reggicalze di una guepiere dello stesso colore con intarsi rosa, comprata per l'occasione. La leccornia da offrire ai signori uomini era sempre inserita in un contesto elegante e ben agghindato.
L'atmosfera nella sala era gaia e allegra. Tutti sembravano divertirsi moltissimo. Ogni uomo aveva già almeno due o tre fiorellini nel taschino, e le donne sfoggiavano tutte un bel sorriso soddisfatto e una luce maliziosa negli occhi.
Adelaide si accorse di essere un po' malferma sulle ginocchia. Quella ricevuta da Venanzio era già la quarta leccata, e non erano affatto poche, essendo lei un soggetto con orgasmi piuttosto intensi. Così decise di rifocillarsi un po' prima di tornare a intrufolarsi nella danza che si svolgeva al centro della sala e che le avrebbe assegnato il partner successivo. Sui tavoli disposti lungo il muro c'era ogni ben di dio, a giustificare ufficialmente il nome della festa: dolci tipici di Carnevale provenienti da tutte le regioni d'Italia, preparati dai migliori pasticceri. Dovunque ci si girasse era un'orgia di pasta frolla fritta, zucchero vanigliato, creme, pan di spagna, cioccolato, panna montata, frutta secca, in tutte le declinazioni immaginabili. Ma sicuramente colui che aveva ideato questo particolare ricevimento pensava a ben altro quando lo aveva battezzato "Festa della Leccornia".
Pur cercando di mantenere i modi signorili di una vera dama, Adelaide si servì con una certa avidità dei manicaretti offerti. Un'antipatica voce interiore le fece presente che quei pasticcini non avrebbero migliorato la curva dei suoi fianchi, che sembrava continuare ad arrotondarsi e appesantirsi ogni anno che passava. Adelaide decise di ignorarla. Ancora pochi giorni e sarebbe cominciata la Quaresima. C'era tutto il tempo per mettersi a regime e far tornare la linea e il peso nei ranghi dell'accettabile.
Sorseggiò da una coppa di cristallo, presa dal vassoio di un cameriere, uno spumante fresco e dolce, perfettamente abbinato ai pasticcini, che le scivolava in gola anche troppo piacevolmente. Doveva stare attenta a non esagerare. Intanto guardava la folla intorno a lei e nel centro della sala.
Sapeva che in mezzo a quella ressa si trovava anche suo marito, ma non sarebbe stata in grado di individuarlo, con la maschera indossata. Così come lui non avrebbe riconosciuto facilmente lei. All'arrivo al palazzo donne e uomini venivano indirizzati in ambienti separati per ricevere e indossare i costumi per la festa, quindi nessuno dei due sapeva come fosse vestito il coniuge. Si sarebbero riconosciuti, ovviamente, se si fossero imbattuti l'una nell'altro a breve distanza, ma anche in quel caso, secondo le regole, avrebbero dovuto ignorarsi, o comunque comportarsi come se non si conoscessero. Poteva persino capitare che il caso li abbinasse per una delle leccate successive. Adelaide immaginò perfidamente di negare al marito l'omaggio del fiore. Ci sarebbe rimasto di merda, si disse sghignazzando.
Lo stesso Marchese, il facoltoso padrone di casa, l'ideatore della festa, era mimetizzato tra gli ospiti. Poteva benissimo essere uno dei quattro che l'avevano sollazzata quella sera, o uno dei prossimi. O poteva essere successo negli anni precedenti: era ormai la terza edizione cui partecipava. Non lo avrebbe mai saputo, ma era un'idea intrigante. Era convinta, chissà perché, che il Marchese fosse un leccatore di fighe a cinque stelle.
Al centro della sala si svolgeva il gran ballo: una coreografia direttamente ispirata alle danze settecentesche, minuetto, contraddanza, allemanda, e così via. La serie di passi e di giravolte era un po' complicata per i neofiti, ma bastava seguire quello che facevano gli altri e si finiva per impararla presto.
Il ballo era congegnato in modo tale da provocare un continuo rimescolamento degli accoppiamenti. Ogni giro completo durava un paio di minuti e nella figura finale i danzanti si ritrovavano tutti ordinati in un certo numero di girotondi concentrici tranne tre coppie combinate dalla sorte che restavano chiuse al centro. A quel punto, dopo un doveroso scambio di formali inchini e riverenze, le coppie così sorteggiate si recavano nella saletta apposita, la Sala delle Poltrone, a consumare la leccata, mentre il giro di danza ricominciava.
Adelaide per qualche minuto rimase all'esterno a osservare divertita, unendosi agli applausi e alle grida di entusiasmo ogni volta che tre nuove coppie si formavano per poi recarsi sottobraccio, camminando solenni e dignitosi, verso la Sala delle Poltrone. In un caso le sembrò di riconoscere il marito tra i sorteggiati, ma poi escluse la possibilità quando il tizio le passò vicino e poté vederlo meglio. Era comunque solo una curiosità accademica. Non la scocciava particolarmente sapere che il marito avrebbe passato gran parte della serata a sollazzare con la lingua signore sconosciute, anzi in un certo senso l'idea la divertiva. E nemmeno lui sembrava troppo infastidito dal fatto che lei per una sera si sarebbe fatta riccamente servire dalla lingua di altri uomini. Forse, pensò, l'atto in sé non era tale da suscitare troppe sanguinose gelosie, da una parte e dall'altra. Era sicura che il marito non sarebbe stato altrettanto indifferente se fosse stata lei a dover offrire la bocca qualche ignoto cavaliere, e lei stessa avrebbe trovato meno tollerabile l'idea che il marito godesse della perizia orale di altre dame. La leccata di figa, chissà perché, sembrava più accettabile da tollerare, ancor più con la protezione dell'anonimato e nel clima giocoso carnevalesco. Sapeva che molte altre coppie partecipavano a quella festa senza considerare quello che vi accadeva come un venir meno ai reciproci impegni di fedeltà. Era solo un giochino, sicuramente un po' piccante e malizioso, ma fondamentalmente innocente, in cui alla fine si divertivano tutti, donne, uomini, accoppiati e single, e nessuno aveva ragioni per lamentarsi.
Di sicuro lei si divertiva pazzamente, e non avrebbe rinunciato a partecipare a quella festa per niente al mondo. Una bella leccata ha sempre un suo perché, per una donna. Quando le leccate cominciano ad essere parecchie, perfino una decina, o anche più, in una stessa serata, da altrettanti uomini diversi, la cosa è ancora più interessante. Ma erano tutti gli altri dettagli a incastrarsi perfettamente e rendere tutto più divertente: le maschere, le regole del gioco, le danze, i fiori, le cerimonie. Davvero un' intuizione felice quella che aveva avuto il Marchese. E che gran porco che doveva essere.
Cominciò a chiedersi chi sarebbe stato il prossimo a capitarle tra le cosce. Sarebbe stato un bravo linguista? Si sarebbe aiutato con le dita come Venanzio? Se ben usate le dita sono un gran sollazzo, ma il fascino di un lavoretto tutta lingua... mmmm....
Questi pensieri tornarono a stuzzicare la voglia di Adelaide che decise che quasi quasi valeva la pena tornare in pista. Ci sarebbe voluto qualche giro di giostra per finire finalmente tra le coppie sorteggiate, quindi non era il caso di aspettare ancora troppo a lungo.
Fece un passo verso il centro della sala, ma poi esitò e si fermò. Le coppe di spumante che aveva bevuto avevano cominciato a fare un certo effetto. La vescica era piena, non in modo irresistibile, ma forse lo sarebbe stata tra qualche decina di minuti e il fastidio le avrebbe sicuramente impedito di godersi al meglio la successiva leccata. Sapeva che i bagni erano perfettamente attrezzati per offrire alle dame la possibilità di rinfrescare adeguatamente le parti intime dopo aver espletato la pratica. Non era però sicura di ricordare dove fossero i bagni. Stava proprio per chiederlo a un inserviente quando vide l'imbocco di un corridoio e si avviò, sicura di aver riconosciuto la direzione giusta.
Si accorse presto di aver sbagliato. C'erano varie porte in quel corridoio, ma erano tutte chiuse a chiave. Tranne l'ultima, in fondo a destra. Adelaide esitò sulla soglia, anche se evidentemente non era un bagno. Si guardò intorno. La stanza probabilmente era stata utilizzata per stiparvi i mobili che di solito erano nelle sale dove si svolgeva la festa. Sembravano mobili pregiati, molto belli. Adelaide adorava i mobili antichi e la curiosità la spinse per qualche metro all'interno della stanza. Poi sentì dei passi in avvicinamento e istintivamente si nascose dietro una pila di sedie.
Una donna e un uomo, vestiti entrambi con il costume veneziano e la mascherina sul volto, entrarono in quella stessa stanza, chiudendosi la porta alle spalle e bloccandola dall'interno con un giro di chiave. Non accesero la luce, e la stanza rimase in penombra, rischiarata solo da un lucernaio sopra la porta. La donna portava un abito color smeraldo con i bordi di merletto bianco. L'uomo un completo color beige. Mentre Adelaide tratteneva il respiro per non far rumore, i due si baciarono, ma con una certa fretta. L'uomo si staccò presto dal bacio e armeggiò con i bottoni dei suoi pantaloni alla zuava, fino ad estrarre un cazzo in vistoso stato di erezione.
Adelaide ne restò scossa. Non che in generale l'immagine di un cazzo dritto fosse per lei così inedita da impressionarla, figuriamoci. Il fatto è che in quel contesto... come dire... non era giusto. La festa aveva delle regole precise. Quel cazzo, con il suo solo prepotente mostrarsi, le stava violando imperdonabilmente.
La dama in verde sembrò del tutto aliena dal farsi simili problemi. In un attimo si inginocchiò davanti all'uomo e ne imboccò avida la cappella rosea, dando inizio ad un'appassionata fellatio.
Dietro il suo nascondiglio Adelaide si sentì ribollire di rabbia. Se lo sfoggio del cazzo in resta era una violazione, quel pompino era un oltraggio, un vilipendio, una profanazione. Non che avesse nulla, intendiamoci, contro l'atto del pompino in sé. Ma in altre sedi, cribbio! Adelaide aveva una tale adorazione per quella festa, per le sue regole divertenti, per la malandrina complicità con cui tutti vi si adeguavano, da sentirsi ferita in prima persona. I sospiri e i mugolii estasiati a bocca piena della dama in verde suonavano alle sue orecchie come offese personali.
E non era finita. Dopo qualche minuto la dama in verde si alzò, si inginocchiò su un divano piegandosi sullo schienale e alzò l'orlo del vestito fino a scoprire le terga nude. Ovviamente non portava mutandine. Le gambe erano inguainate in un bel paio di autoreggenti nere. Il culetto era tondo e sodo, ben fatto, abbastanza da suscitare in Adelaide un pizzico di risentita invidia.
L'uomo le afferrò i fianchi con decisione e cominciò a scoparla da dietro. La donna gemeva rumorosamente ad ogni affondo e Adelaide pensò che se non fosse stato per la musica e il chiasso della festa i suoi mugolii si sarebbero sentiti in tutto il palazzo. Lui accelerò man mano il ritmo, cominciando a sua volta ad ansimare forte. Poi la donna gli sussurrò qualcosa, che Adelaide non afferrò. L'uomo si staccò, la dama in verde tornò a inginocchiarsi e lo fece venire nella bocca, bevendo avida tutto il suo seme.
I due si ricomposero in fretta e furtivamente uscirono dalla stanza, attenti a non farsi notare da nessuno. Adelaide aspettò ancora qualche momento, poi a sua volta uscì.
Quella scena le aveva lasciato una specie di retrogusto fastidioso. Continuava a percepirla come un'ingiustizia. Quei due avevano tutto l'anno a disposizione per farsi tutte le scopate e i pompini che volevano. Che bisogno c'era di rovinare lo spirito della festa, venendo meno alle regole?
Finalmente trovò il corridoio che cercava. Un paio di dame erano in fila fuori dalla porta. Aspettò il suo turno, si liberò e si rinfrescò, continuando a rimuginare cupamente sull'accaduto.
Una volta tornata nella sala grande si impose di smettere di pensarci. In fondo, si disse, se una coppietta non ha resistito all'impulso di farsi una sveltina, cosa me ne deve fregare? Perché devo farmi il sangue amaro e rovinarmi l'umore per questo? Era ancora presto e c'era ancora tanto da divertirsi, si disse, e sorridendo si infilò nella danza.
Dovette aspettare pazientemente vari giri di giostra prima di ritrovarsi tra i sorteggiati, ma l'attesa fu ben ripagata. Il cavaliere che le fu assegnato in sorte era sicuramente un bel pezzo di maschio. Alto e ampio di spalle, dal portamento atletico, doveva essere piuttosto giovane, e la maschera non ne nascondeva la linea decisa e virile degli zigomi. L'idea di strofinare la sua micina su quel bel muso era davvero invitante. Le due dame sorteggiate insieme a lei, capitate con cavalieri meno vistosamente prestanti, le scoccavano occhiate di pura invidia da sotto le mascherine.
Anche lui sembrava molto soddisfatto dell'accoppiamento, e il sorriso caldo che le rivolse la lusingò. Si esibì in un perfetto inchino pronunciando la formula di rito. "Xe un privilegio mettermi al suo servizio, siora Adelaide". "Lei è il benvenuto, sior Ridolfo" rispose, dando un'occhiata rapida al cartellino appuntato sul petto dell'uomo e piegandosi in un'aggraziata riverenza.
Ridolfo le offrì il braccio. Adelaide vi adagiò sopra la mano, saggiando con piacere i muscoli guizzanti sotto la stoffa. Lui le camminò a fianco lentamente, con fare affettuoso e protettivo, guardandosi intorno quasi sfidasse chiunque a provare a contestargli il diritto di offrire ad Adelaide una gustosa leccata. Intorno a loro tutti applaudivano e urlavano, e Adelaide già sentiva la fighetta sciogliersi nel pregustare la nuova avventura.
Prima di entrare nella Sala delle Poltrone, Adelaide fece in tempo a notare qualcosa di curioso. A qualche metro di distanza da lei una dama vestita di verde, guardandosi intorno circospetta, si stava intrufolando in quel certo corridoio. Pochi secondi dopo un uomo, ostentando placida indifferenza, la seguì. Non era lo stesso di prima. Quello aveva un completo beige, questo una giacca color porpora. Altro che coppietta in fregola, si disse Adelaide. La signora stava facendo collezione. Ma in quel momento Adelaide aveva ben altro cui pensare: Ridolfo la stava introducendo nella Sala delle Poltrone, facendole strada verso una poltrona libera, e lei non vedeva l'ora di accomodarsi e di farlo mettere all'opera.
Una ventina di minuti dopo Adelaide tornava nella Sala delle Danze, cercando disperatamente di non barcollare. Ridolfo aveva dimostrato di avere una lingua prestante come il resto del suo corpo. Sapeva essere rapida e lenta, decisa e delicata, e lei l'aveva sentita intrufolarsi piacevolmente in ogni singola piega e in ogni anfratto nascosto. Il ragazzone aveva usato anche le mani, ma non per penetrarla con le dita. Con la punta dei polpastrelli l'aveva deliziata di morbidi massaggi circolari sul ventre, all'attaccatura del pube, in sincronia con le carezze di lingua. Non era stato così immediato portarla al quinto orgasmo della serata. C'erano voluti tempo e pazienza, insieme all'instancabilità della sua lingua guizzante, ma alla fine l'orgasmo era stato così intenso da farla urlare senza ritegno, senza preoccuparsi delle altre dame intorno a lei. Sarebbero state comprensive, Adelaide ne era sicura.
Ripensò ancora al momento dell'orgasmo e le sfuggì un affannoso sospiro accompagnato a un "Mamma mia!". Ora mi prendo una pausa un po' più lunga, si disse, dirigendosi verso una fila di sedie, accompagnata dalla sensazione di avere la testa stranamente leggera e sentendosi pervasa da una strana euforia, non troppo diversa da quella che aveva provato nei casi in cui aveva alzato troppo il gomito.
Per qualche minuto si limitò a starsene seduta, a riprendersi. Poi la sete la spinse nuovamente verso i tavoli delle libagioni a cercare qualcosa da bere, ben sapendo che difficilmente si sarebbe trattenuta dall'assaggiare qualche altro pasticcino.
Uno strano gioco della sorte la portò a ritrovarsi al fianco di una dama in abito verde, dall'aspetto familiare. C'erano altre dame nella sala con un abito di quel colore, ma Adelaide non poteva confondersi. Tutti i dettagli combaciavano: quella donna non poteva essere che lei.
La dama verde stava sorseggiando una coppa di spumante, guardando divertita le danze al centro della sala. Adelaide si versò a sua volta una coppa e le si avvicinò.
"Prosit, siora Rosaura!" le disse, offrendo il bicchiere, dopo aver sbirciato il nome dal cartellino.
"Prosit, siora Adelaide!" rispose quella con un sorriso gentile, toccando la coppa di Adelaide con la propria. "Bella festa, no ghe par?" aggiunse.
"Come tutti gli anni, d'altronde" ribatté Adelaide. "Mi sto davvero divertendo un mondo! E lei, siora Rosaura?"
"Anca mi, come una pazza!"
Le due si scambiarono un sorriso complice, e bevvero insieme un sorso. Adelaide si accorse di provare un'istintiva simpatia per quella donna dai modi affabili. Però non poteva fargliela passare del tutto liscia.
"Trovo che la formula di questa festa sia perfetta in ogni dettaglio. E' praticamente impossibile che non ci si diverta. No xe vero, siora Rosaura?" chiese ancora Adelaide.
"Senza dubbio!" replicò Rosaura.
"Eppure purtroppo c'è qualcuno che non rispetta le regole", continuò melliflua Adelaide, continuando a tessere la trappola. "Non le pare un peccato, siora Rosaura?"
Le due si scambiarono una strana occhiata. Rosaura prese tempo sorseggiando ancora un po' di spumante, intanto fissava Adelaide con due intensi occhi verdi che si intravedevano da sotto la mascherina dello stesso colore.
Poi Rosaura sorrise, con una smorfia malandrina.
"Suvvia, Siora Adelaide... Non sia troppo severa... In fondo xe Carneval. Non c'è vero divertimento se non si trasgrediscono un po' le regole. No ghe par?"
Adelaide sorrise a sua volta. Quella Rosaura era davvero simpatica. E, ora che condivideva il suo segreto, sentiva che tra di loro era nata una certa amichevole intesa. Studiò i suoi lineamenti e si accorse che, per quello che si poteva intuire tra parrucca e mascherina, Rosaura doveva essere una gran bella donna. Aveva modi eleganti e raffinati, da signora d'alta classe. Sospettò che l'anonimato di quella festa le offrisse occasioni di trasgressione che non poteva permettersi durante l'anno.
"Anca a mi, Siora Rosaura, piace trasgredire, mi creda. Ma di solito lo faccio con le regole più noiose e oppressive... Le regole di questa festa mi sembrano così carine e simpatiche... così giuste..."
"Trasgredire le regole sbagliate, siora Adelaide, xe un dover... Ma il piacere vero" aggiunse con tono misterioso "ghe xe quando se trasgredisse na regoea giusta!"
"Mah... Se lo dice lei..." replicò Adelaide, poco convinta.
"Perché non vieni a provare anche tu?" la incalzò Rosaura, abbandonando il tono formale e sussiegoso e fissando l'altra con attenzione.
Adelaide restò interdetta. "Cioè?... Non capisco... Vorresti dire..."
L'altra le strizzò l'occhio da sotto la mascherina, per segnalarle che aveva capito benissimo. "Dai! Non avrai mica paura..." la provocò.
Adelaide esitò. Avrebbe voluto chiedere come, dove, quando, con chi. Ma più forte dei dubbi era la certezza di non voler passare da verginella pudica e timida agli occhi dell'altra. Così sorrise e annuì. "Ma sì... Perché no?" rispose, con lo stesso tono indifferente e tranquillo di chi accetta un pasticcino, anche se questa svolta inaspettata della serata le dava un certo brivido. Rosaura sorrise a sua volta, compiaciuta.
"Ok. Ora seguimi e lascia fare a me..." le disse, cominciando ad avventurarsi nella ressa di gente.
Adelaide non capiva chi cercasse o cosa cercasse. Rosaura squadrava frettolosamente ogni uomo cui passavano vicino. Non riusciva a capire se stesse cercando qualcuno in particolare, o se cercava delle caratteristiche precise. A lei gli uomini sembravano tutti più o meno simili, con le parrucche, le maschere, e gli abiti settecenteschi.
Alla fine sembrò aver trovato quello che cercava. "Lascia parlare me" le disse e si avvicinò a due tizi che stavano chiacchierando tra loro e in cui Adelaide non vedeva niente di diverso dalle centinaia di altri uomini che c'erano in giro. Ma Rosaura sembrava convinta e cominciò a rivolgersi ai due, che sembrarono subito decisamente interessati. Nella confusione che li circondava, Adelaide non riusciva a distinguere una parola, anche se era solo a un paio di metri di distanza. Quando Rosaura la indicò e i due si girarono all'unisono verso di lei trovò spontaneo sorridere e accennare la riverenza rituale, cui loro risposero con un cortese inchino.
"Piaser, siora Adelaide" le dissero i due, in coro.
"Piaser, sior Astolfo! Piaser, sior Vilfredo!" rispose lei, gaia e gentile, leggendo i nomi dai cartellini. Adelaide li squadrò per bene. I due non sembravano più giovani né più vecchi della media. Non particolarmente belli, ma nemmeno brutti. Non avevano niente che li distinguesse in modo particolare, né che potesse aiutare Adelaide a riconoscere uno dei due se li avesse incontrati senza maschera in futuro. Erano solo... uomini. Non capiva con quale criterio Rosaura li avesse scelti, ma in fondo non le interessava poi molto.
"Seguitemi" disse loro la dama in verde, con molto senso pratico, dirigendosi verso il corridoio che ormai Adelaide conosceva bene. Nel giro di pochi secondi erano tutti e quattro in quella stanza ripostiglio, mentre Rosaura con gesto deciso girava la chiave nella toppa della porta.
Si andò subito al sodo. Astolfo e Vilfredo sembravano frementi e impazienti. Considerando quello che avevano fatto alla festa fino a quel momento (e i fiorellini nei taschini la dicevano lunga in merito) non c'era da sorprendersi che i due smaniassero alla prospettiva di una variazione sul tema. Adelaide non sapeva bene cosa si fossero detti di preciso con Rosaura; fatto sta che i due non persero tempo e, entrambi in piedi nell'angusto spazio tra i mobili accatastati, sciolsero lacci e bottoni ai pantaloni e tirarono fuori dalle braghe i loro cazzi eretti, con l'aria di chi facesse esattamente ciò che ci si aspettava da loro. Tutto era molto chiaro e diretto. Due donne avevano fatto sapere di aver voglia di un po' di cazzo e due uomini, ottimamente attrezzati alla bisogna, stavano fornendo il materiale richiesto.
Quanta differenza, notò Adelaide, con le elaborate cerimonie che accompagnavano le leccate di fica nella Sala delle Poltrone a pochi metri da loro. Sempre di sesso si trattava, ma evidentemente questo era un sesso di segno diverso, sotto la protezione di una divinità diversa. Qui era tutto più crudo, più materiale e spoetizzato. Più porco, se vogliamo. Ma non per questo meno eccitante, fu costretta a riconoscere Adelaide.
"Che te ne pare?" le sussurrò Rosaura all'orecchio con la voce resa roca dal desiderio.
"Due gran bei cazzi!" replicò Adelaide, adeguandosi al tono dell'amica.
"Ah! Ma allora il cazzo te piase..." dedusse Rosaura, ironica.
"E neanca poco..." confermò lei.
"Cossa spetemo, allora? Dai, andiamo ad assaggiarli!"
Senza aggiungere altro, Rosaura si inginocchiò davanti a Vilfredo, ripetendo quello che Adelaide le aveva già visto fare qualche minuto prima, quando la sbirciava di nascosto. Si mise a succhiare quel cazzo come se non aspettasse altro dalla vita, senza fare nulla per nascondere il piacere che le dava sentirsi la bocca piena di quel caldo cilindro di carne maschile, anzi probabilmente accentuando spudoratamente. Un pompino da gran troia, per dirla in breve. E Adelaide era chiamata a fare lo stesso.
Fece del suo meglio per non essere da meno. All'inizio in modo un po' forzato e meccanico, ma poi certe moine da troia intorno al cazzo di Astolfo cominciarono incredibilmente a venirle spontanee. Non era certo la prima volta che faceva un pompino, e aveva anche avuto la sua razione di scappatelle e avventurette, ma non si era mai sentita così puttana come in quel momento. E, quel che è peggio, ne era perversamente eccitata. Rosaura da dietro la mascherina ogni tanto la guardava di sottecchi, e sembrava compiaciuta. Lei ricambiava il suo sguardo con sfrontatezza, continuando a leccare e succhiare di gusto il grosso cazzo.
"Ce li scambiamo?" suggerì Rosaura qualche minuto dopo.
"Mmmmm... Perché no?" approvò Adelaide, con un tono da golosa degustatrice che stentava a riconoscere come proprio. I due uomini invertirono rapidamente la posizione e il doppio pompino parallelo riprese e andò avanti per qualche tempo.
"Nella figa ora..." mormorò decisa Rosaura, inginocchiandosi sul divano e scoprendo il culo in modo sfacciato e invitante. Adelaide la imitò, mettendosi al suo fianco. Sapeva di avere un culetto un po' più grosso di quello dell'amica, e che rischiava di sfigurare in un confronto così ravvicinato. Ma si accorse che in quel momento non gliene importava granché.
"Che gran vacche!" commentò deliziato uno dei due uomini.
"Una bianca e una nera, come nella barzelletta!" rispose ilare l'altro, alludendo evidentemente ai colori delle calze che indossavano.
Adelaide non si accorse nemmeno se le era toccato Astolfo o Vilfredo, quando i due presero a montarle da dietro proprio come vacche in calore. Sapeva solo che un grosso cazzo duro la stava fottendo a fondo in modo molto piacevole, e che per la prima volta in 35 anni di vita comprendeva pienamente il senso della frase "farsi scopare come una puttana". Ma era eccitatissima, godeva come una porca, e si guardava bene dal nasconderlo. I suoi gridolini acuti armonizzavano perfettamente con i lunghi gemiti gutturali che Rosaura produceva a fianco a lei.
"Ce le scambiamo?" chiese Astolfo che stava scopando Rosaura, scimmiottando il tono che la stessa Rosaura aveva usato in precedenza per fare la stessa domanda.
"Mmmmmm... Perché no?" rispose Vilfredo in un effeminato falsetto che faceva il verso alla risposta di Adelaide. Rosaura e Adelaide rimasero docili in posizione, offerte e ben aperte, mentre i due allegramente cambiavano cavalcatura. Ripresero quindi a fotterle di gran carriera.
Presto Vilfredo cominciò a dar segni di essere prossimo all'orgasmo. Così come aveva fatto mentre Adelaide la spiava di nascosto, Rosaura chiese al suo partner di non venirle dentro, ma di lasciarsi finire con un pompino. Adelaide si chiese se fossero precauzioni di tipo contraccettivo, o se invece l'amica amasse particolarmente ricevere lo sperma in bocca. In ogni caso, lei aveva idee diverse. Prendeva regolarmente la pillola e le piaceva da impazzire che l'uomo raggiungesse il climax dentro di lei. Adorava la sensazione che le dava il cazzo quando si inturgidiva al massimo e poi vibrava convulso nell'eruttare i caldi fiotti di lava.
Così sussurrò ad Astolfo che andasse pure sino in fondo, se voleva. Lui non se lo fece ripetere e prese ad accelerare il ritmo, fino a venire con un rantolo gutturale, sparandole nel ventre una copiosa sborrata.
Adelaide aveva gradito moltissimo, anche se non era riuscita a raggiungere a sua volta l'orgasmo. Non si aspettava di riuscirci, in realtà. Era già stanca dagli stravizi precedenti e sapeva che ci sarebbe voluto ben più di una frettolosa sveltina per farla godere ancora.
Era assorta in questi pensieri quando l'altro cazzo la penetrò con violenza, prendendola del tutto alla sprovvista. Gemette di sorpresa. "Lei permette, vero?" le disse rauco Vilfredo, senza aspettare risposta, mentre spingeva con vigore tenendola stretta con le mani sull'esterno delle natiche.
Adelaide capì. Vilfredo si era fatto sollazzare volentieri dalla bocca abile di Rosaura, fino ad arrivare quasi al limite, ma gli ultimi decisivi colpi preferiva gustarseli nella comodità di una figa calda e ospitale, morbida e avvolgente, disposta a tenerlo dentro fino alla fine e a ricevere il suo seme. Era del tutto naturale, ma al tempo stesso era una cosa che Adelaide percepiva come incredibilmente degradante. Mai nella vita si era sentita così abusata, utilizzata davvero come un mero buco da cui trarre piacere e in cui scaricare liberamente il proprio sperma. E ciò incredibilmente la eccitò, al punto che mentre Vilfredo le riempiva la figa con una seconda generosa sborrata, lei si ritrovò inaspettatamente a scuotersi tutta in un orgasmo rumoroso, sporco, perverso e cattivo.
Qualche minuto dopo, lei e Rosaura erano di nuovo presso i tavoli dei pasticcini, a sorseggiare placide l'ennesima coppa di spumante.
"Allora, siora Adelaide, cosa mi dice?"
Appena tornate nella sala grande avevano ripreso, con un pizzico di ironia, a rivolgersi l'un l'altra coi modi affettati e cortesi che si usavano nella festa.
"Cossa go da dir, siora Rosaura?"
"Xe vero o no xe vero che trasgredire pol essere gustoso anca quando le regole xe graziose da rispetar?"
"Devo ammettere che non aveva tutti i torti, siora Rosaura..."
"E poi, Siora Adelaide, voemo dirla tutta?" aggiunse Rosaura abbassando un po' la voce. "Non possono essere davvero così graziose regole che non danno al cazzo la giusta importanza..."
"Giusto!" rispose ridendo Adelaide. Le due brindarono con allegria, e Adelaide si trovò a pensare che le sarebbe piaciuto moltissimo avere un'amica così anche al di fuori della festa.
"Siora Adelaide!" le disse Rosaura qualche minuto dopo. "Io avrei voglia di andare un po' a caccia... C'è ancora materiale maschile interessante intorno, e dovrebbe esserci la possibilità di fare un altro giro..."
"Ma lei è proprio insaziabile, siora Rosaura!" replicò.
Ne risero insieme.
"Non nego di avere un certo robusto appetito, cara siora Adelaide..." rispose allegramente Rosaura, "Ma ciò che mi rende davvero insaziabile xe pensar che per la prossima festa mascherata gavemo de spetar un anno..."
"Come la capisco, siora Rosaura"
"Lei che fa, siora Adelaide, si aggrega? Ce lo facciamo un altro giro insieme?"
"La ringrazio, siora Rosaura. Ma per me questa sera la trasgressione è stata abbastanza. Forse mi farò un altro giro più tardi, ma... di quelli secondo le regole, lei capisce..."
Rosaura sorrise. "Come preferisce, mia cara. Ma intanto mi, col so permesso, ndarìa. Bon divertimento!"
"Anche a lei, siora Rosaura! Buon divertimento!"
Rosaura si immerse nella folla riprendendo a scrutare tutti gli uomini che le passavano accanto. Adelaide la guardò affascinata finché non scomparve, inghiottita dalla fitta ressa. Indugiò qualche minuto ancora, poi decise di entrare nella giostra delle danze.
Quella volta fu meno fortunata con il sorteggio. Il sior Gildo non era certo un adone, ma un ometto attempato e traccagnotto, con due guanciotte paffute e il mento sfuggente. Aveva solo tre fiorellini nel taschino, e a quell'ora era davvero un bottino da sfigato. La stava guardando da dietro la mascherina con un sorriso timido e incerto, timoroso di vederla delusa. Faceva davvero tenerezza. Lei rispose con un bel sorriso caldo e incoraggiante, mostrando di non essere così dispiaciuta dall'abbinamento. Il sior Gildo sembrò illuminarsi di felicità e la scortò entusiasta verso la Sala delle Poltrone, evidentemente deciso a fare del suo meglio per ripagarla.
L'uomo, accucciato sotto il suo vestito, le stava già offrendo le prime leccatine esplorative, quando ad Adelaide venne in mente un particolare piuttosto imbarazzante. Aveva la vagina ancora piena dello sperma di Astolfo e Vilfredo e sapeva bene che da quelle parti si stava manifestando una lenta marea di riflusso. Proprio in quel momento si accorse che il sior Gildo, dopo un affondo di lingua un po' più deciso, si era improvvisamente fermato. Sembrava quasi che stesse borbottando qualcosa. Adelaide da sopra il vestito lo omaggiò di un'affettuosa carezza sulla testa per invitarlo a continuare. Il sior Gildo riprese a slinguazzare, ma in modo incerto e titubante, cercando di tenersi in alto e all'esterno. Adelaide allora gli carezzò la testa una seconda volta, in modo più deciso e autoritario, pericolosamente vicino al confine tra la carezza e lo scappellotto. Lui, rassegnato, tornò a leccare di buona lena e a tutto campo, senza trascurare il buco farcito di crema.
Adelaide piegò la bocca in un sorriso malandrino e malizioso. Così va meglio, pensò. Nei suoi sforzi per compiacerla il povero sior Gildo si sarebbe fatto, suo malgrado, una bella scorpacciata di sperma, e lei si scoprì perversamente divertita da quella circostanza. Bravo sior Gildo. Leccami per bene. Fammi godere e non fare capricci. Alla Festa della Leccornia può anche capitare di trovarne una condita con un ripieno... come dire?... un po' inaspettato. Un vero bongustaio deve sapersi adeguare. E poi, sior Gildo, vale sempre il vecchio detto. A Carnevale ogni scherzo vale. No ghe par?
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