Una Notte Nel Castello
Alessia rabbrividì. Sentiva freddo, molto freddo. Tutto quello che indossava era un completino intimo piuttosto audace in tinta bordeaux. Capi molto sexy e raffinati, ma del tutto inadeguati a proteggerla dal gelo che avvertiva intorno a sé e che sembrava penetrarle sin nelle ossa. Il pavimento di pietra su cui stava camminando era gelido sotto i suoi piedi, protetti solo dal velo sottile delle calze autoreggenti.
Fuori, nel buio della notte, oltre lo spessore massiccio delle mura, la tempesta continuava a scatenarsi rumorosamente: pioggia, grandinate a intermittenza, tramontana che ululava facendo vibrare le vetrate e cigolare gli infissi delle finestre. Alessia avanzava con prudenza. Non c'era luce elettrica, e la candela che portava in mano non riusciva a rischiarare al di là delle immediate vicinanze.
All'improvviso il bagliore accecante di un fulmine illuminò a giorno l'ambiente intorno a lei, seguito immediatamente dal furioso rombo di un tuono. Alessia sobbalzò per il rumore, ma subito si sentì agghiacciare da uno spavento ben più profondo. Nell'istante in cui il fulmine aveva inondato l'ambiente con la propria luce lattiginosa, le si era impressa nella retina una spettrale immagine del luogo in cui si trovava. E non corrispondeva. Avrebbe dovuto trovarsi in un lungo corridoio, lo stesso che aveva percorso poche ore prima, insieme a suo marito, diretti alla camera che li avrebbe ospitati per la notte. Invece era finita, chissà come, in una sala ampia, arredata con oggetti misteriosi che non era riuscita a distinguere. Piena di anfratti dove chiunque poteva stare nascosto in agguato. Piena di oscure presenze.
Istintivamente allontanò la candela e girò su se stessa per cercare di vedere meglio intorno. Due occhi emersero dal buio e la fissarono, minacciosi e beffardi. Alessia si senti accapponare la pelle. Guardò meglio. Era solo un quadro. Un quadro antico. Probabilmente il ritratto di un signore del castello di qualche secolo prima. Provò a calmarsi, ma quegli occhi, forse per effetto del tremolare della fiammella, sembravano vivi e continuavano a fissarla. Non riuscì a reprimere il disagio e l'imbarazzo, uniti a un brivido di paura. Anche perché si sentiva praticamente nuda, peggio che nuda, con quei capi sexy addosso. Gli occhi maschili nel ritratto, insieme alla bocca carnosa impostata su un sorriso lascivo e untuoso, sembravano apprezzare morbosamente lo spettacolo.
Alessia scosse la testa e si allontanò frettolosamente dal quadro, lasciando che tornasse nell'oscurità. Fu allora che sentì echeggiare un battito. A differenza dal fragore del temporale che infuriava di fuori, questo rumore proveniva distintamente dall'interno. Un tonfo lento, solenne, continuo. Passi. Passi di qualcuno che si avvicinava. Erano passi pesanti, con un rimbombo vagamente metallico. Come di qualcuno che portasse addosso una corazza, o una cotta di maglia, o qualcosa del genere.
Aveva perso completamente il senso dell'orientamento, ma percepiva quei passi come l'approssimarsi di un pericolo. Cosi decise di avventurarsi nel buio, in direzione opposta a quella da cui proveniva il rumore.
Camminò a passo spedito, per quanto possibile in quelle circostanze, e in un certo momento le sembrò, con sollievo, di aver distanziato l'origine di quel suono, chiunque fosse. Ma il sollievo durò poco. Un muro grigio di pietra emerse dal buio nella sfera di luce della candela e si parò immobile davanti a lei. I passi tornarono ad essere minacciosamente vicini. Girò a sinistra, lungo il corso del muro, per qualche metro. Ma il muro piegava ad angolo retto, e continuare a seguirlo l'avrebbe spinta tra le braccia dell'inseguitore. Allora girò su se stessa e proseguì nell'altra direzione, sperando con tutta l'anima di non essersi cacciata in un vicolo cieco.
Un nuovo fulmine illuminò l'ambiente per una fugace frazione di secondo. Alessia ne approfittò per guardarsi attorno e cercare una via di fuga. Un ulteriore tuono fragoroso e assordante esplose. C'era l'imbocco di un corridoio a pochi metri da lei sulla destra e decise di infilarvisi, rapida. In quel brevissimo momento di luce aveva anche avuto la possibilità di intravedere, con la coda dell'occhio, la figura che la stava seguendo, pur senza mettere a fuoco alcun dettaglio. Era un uomo, massiccio e imponente. Ed era ormai vicino, molto vicino.
Ormai stava di fatto correndo, lungo quel corridoio, pur col rischio che la candela si spegnesse. Non aveva la minima percezione della distanza percorsa. Sapeva solo che quei passi continuavano a starle dietro con quel tonfo sordo, metallico, regolare, inarrestabile, che la stava esasperando.
Il corridoio finì. Davanti ad Alessia si presentò una porta. Una porta antica, massiccia, solenne, in qualche modo minacciosa. Alessia non voleva aprire quella porta. Sapeva, in qualche oscuro modo ne aveva la certezza, che se ne sarebbe pentita. Che oltre quella porta avrebbe trovato l'orrore più assoluto. Ma intanto i passi alle sue spalle non si arrestavano. Aveva pochi secondi.
Con la mano tremante afferrò la maniglia. In quell'esatto istante dall'altra parte della porta una donna gridò forte, con terrore e disperazione, come se le stessero infliggendo le torture più disumane. Alessia esitò. Tornò a guardarsi alle spalle, verso l'ignoto inseguitore. Un ennesimo lampo squarciò l'oscurità e per una frazione di secondo Alessia poté vederlo in viso. Si pentì subito di averlo fatto. I lineamenti di quell'uomo erano deturpati da un'orrenda cicatrice, e i suoi occhi la scrutavano con totale malignità. La donna dall'altra parte continuava a urlare come impazzita.
Esplose un tuono, più forte dei precedenti. L'urlo della donna oltre la porta divenne ancora più agghiacciante. La mano di Alessia sulla maniglia si bloccò, paralizzata dal terrore, mentre l'inseguitore si avvicinava sempre di più. Quell'urlo atroce aveva perso ogni traccia di umanità, riducendosi a qualcosa di animale, come il grido disperato di un gabbiano ferito a morte. O a qualcosa persino meno che animale. Una nota sorda, meccanica, ottusa, che si ripeteva ritmicamente. Lo sfregiato, ormai vicinissimo, la guardò, imbestialito, come se la circostanza lo infastidisse e in qualche modo ne attribuisse la colpa a lei. Allora aprì la bocca e, scoprendo i denti irregolari, le si rivolse imprecando.
"Ma tu guarda la porcaccia di quella puttanaccia troia..."
Alessia terrorizzata urlò, con quanto fiato avesse in corpo, prima di rendersi conto che quella voce le era assurdamente familiare.
"Cazzo ti urli, Alessia!" la riprese seccamente la stessa la voce.
"Angelo! Oh... Angelo!" Alessia finalmente riuscì ad aprire gli occhi e a tornare in sé.
"Cosa ti prende, amore? Perché hai urlato così? Mi hai fatto prendere un colpo..."
"Nulla... Nulla... Solo un brutto sogno..." Aveva ancora il fiato grosso. Gli occhi pian piano si abituarono al chiarore diffuso dall'abat-jour accesa sul comodino. "Ma tu cosa stai facendo? Perché ti stai vestendo?"
"Non lo senti?" rispose lui, accennando con lo sguardo verso la finestra.
Alessia si concentrò sui rumori che venivano da fuori. La pioggia scrosciante, l'urlo del vento, e quella nota sorda, meccanica, ottusa, che si ripeteva ritmicamente e non si era interrotta quando lei si era svegliata.
"E' l'antifurto dell'auto..." le spiegò Angelo. "Maledetta sfiga!... Il tuono deve averlo fatto scattare. E' meglio che vada a spegnerlo prima che svegli tutti gli ospiti del castello..."
"Ma... vuoi uscire.. ora? Con questo tempo?"
Angelo sospirò. "Ne farei volentieri a meno, cosa credi?" disse lui stizzito. "Pensi che non preferirei restarmene a letto, al calduccio... con te..." e diede un'occhiata piena di significati al completino sexy in tinta bordeaux che Alessia indossava. Lo stesso del sogno.
Alessia aveva fantasticato a lungo sulla notte che avrebbe passato con suo marito in quell'imponente vecchio castello, recentemente ristrutturato e adibito ad agriturismo. Le ambientazioni medievali non mancavano mai di suggestionarla e di stuzzicarle fantasie particolari. Così aveva pensato di portarsi dietro qualcosa di adatto a una nottata di un certo tipo. Purtroppo la realtà si era rivelata ben diversa. Il maltempo aveva reso il viaggio per arrivare lì interminabile e faticoso. Avevano smarrito la strada un paio di volte e si erano ritrovati a percorrere labirinti di stradine sterrate rese impraticabili dal fango. Erano arrivati al castello molto tardi, costringendo la proprietaria ad aspettarli in piedi. Poi, una volta in camera, stanchissimi, malgrado tutte le buone intenzioni, erano subito crollati nel sonno.
"Cosa stavi sognando di tanto spaventoso?" le chiese Angelo incuriosito, mentre si allacciava gli stivali.
"Mi ero persa nel castello... Al buio... Poi un uomo mi inseguiva e..."
"...E tu ti sei fatta prendere e ti sei fatta scopare di gusto..." concluse lui, col suo solito tono dissacrante.
"No... affatto... Io scappavo... Ero terrorizzata..."
"Scappavi? Mmmm... Strano... Il castello medievale, la notte buia e tempestosa, lo sconosciuto che ti insegue... Vai sempre in calore con queste atmosfere cappa e spada... Ti conosco troppo bene... Infatti mi era sembrata geniale questa idea che ho avuto di fare un weekend di vacanza scegliendo proprio questo posto per passarci la notte!" Sbuffò spazientito. "Sì, proprio geniale... geniale una sega... andarsene in giro a fare i turisti a novembre... E ora tu guarda come mi ritrovo..."
Con l'impermeabile indossato, l'ombrello in pugno e l'espressione rassegnata, Angelo si avvicinò alla porta.
"Non dovrei metterci molto. Mi aspetti sveglia?" le chiese, guardando ancora la tenuta sexy di Alessia.
Lei sorrise. Ormai l'effetto dell'incubo era del tutto passato. "Mmmmm.... Ci proverò..." rispose con tono provocante, strizzandogli l'occhio.
* * * * *
Alessia rabbrividì. Era buio fitto intorno a lei. Buio e freddo. La tempesta era finita, lasciando il posto a una fitta pioggerella che produceva un brusio di fondo soffice e continuo. La candela rischiarava fiocamente solo le sue immediate vicinanze, mentre Alessia cercava di capire dove si trovasse. All'improvviso dal buio emersero due occhi che la fissavano, minacciosi e beffardi. Alessia trasalì per un momento. Poi li riconobbe. Avvicinò la candela. Alla luce tremolante della fiammella quegli occhi sembravano vivi. Ma erano quelli del quadro. Sono di nuovo nel sogno, si disse. Non può succedermi niente, non devo aver paura, è solo un sogno. Il pensiero la rinfrancò, ma non completamente. Un incubo può capitare a chiunque. Tornare nello stesso incubo è un'esperienza un po' più inquietante.
I sogni sono una proiezione simbolica del nostro inconscio, aveva letto una volta su una rivista. Tutto quello che vedo intorno a me, si disse, è una proiezione del mio inconscio. Ogni cosa ha un significato. In un certo senso è come se stessi visitando le oscure profondità della mia anima. L'idea stuzzicava la sua curiosità, ma non mancò di procurarle un certo brivido.
Gli occhi continuavano a fissarla dal quadro. Lei ricambiò lo sguardo, senza scomporsi. Lui, per esempio, chi è? Cosa ci fa nel mio inconscio? Cosa rappresenta? Nello sguardo dell'uomo del ritratto passò una vaga ombra di perplessità. Alessia si complimentò con se stessa per la sua freddezza analitica, anche se un substrato di tensione continuava sottilmente ad agitarla.
ll Signore del Castello... Una figura maschile, dotata di autorità... Potrebbe essere una proiezione dell'immagine paterna, valutò. Questa ipotesi la fece sorridere. Pensò a suo padre, placido, occhialuto e grassoccio. Non poteva esserci nessuno di più distante dallo sprezzante e altero signorotto che vedeva raffigurato.
Per un attimo tornò ad affacciarsi la paura. Temette che il volto nel ritratto potesse modificarsi sotto i suoi occhi e far comparire per incanto l'immagine di suo padre. O una figura intermedia. O qualcosa di assolutamente mostruoso. Un espediente da film horror di bassa lega, ma che non mancava mai di impressionarla. Continuò a guardare il dipinto, trattenendo il respiro.
Non successe niente. Gli occhi beffardi continuavano a fissarla. Con una punta di soddisfazione in più, le sembrò, nel vederla di nuovo impaurita.
Girò le spalle e continuò l'esplorazione. C'erano tavoli, intorno a lei. O altri tipi di mobili con ripiani. Sopra i ripiani c'erano oggetti. Alcuni li riconosceva. Per esempio una piccola bambola con cui aveva giocato da bambina. Non era una bambola come quelle di una volta, simili a tenere fanciulle paffute, ma la riproduzione di una slanciatissima signorina nel fiore dell'età. Coi capelli castano scuri non troppo diversi nel colore e nel taglio da quelli di Alessia. Da bambina le piaceva vestire la bambola alternando i vari set di vestitini in scala, ognuno per la giusta occasione, e sognava di diventare, un giorno, da grande, proprio come lei. Ma ora la bambola era nuda, praticamente nuda. Portava solo minuscole mutandine e reggiseno. Di color bordeaux.
Riconobbe poi la sua biciclettina preferita. Era quella con cui da bambina era riuscita finalmente a pedalare senza le rotelle laterali d'appoggio. Un'esperienza che era stata fondamentale per la sua autostima, in quella tenera età. Ma nel sogno la bicicletta aveva ancora le rotelle. Cosa poteva significare?
Accanto alla bici c'era un oggetto strano, che in un primo momento, per associazione, assimilò ad una specie di complicato triciclo. Guardandolo meglio, non aveva nulla in comune con un triciclo. Era di metallo e aveva delle imbottiture che le ricordavano quelle di una panca da ginnastica, studiata per qualche esercizio particolare, anche se non riusciva a capire come andasse utilizzata. Poggiava a terra su quattro ruote, non troppo diverse da quelle di un passeggino, o di un carrello da supermercato.
Passò oltre. Avanzò verso una cassettiera dall'aspetto antico. Tirò un cassetto verso di sé, ma questo non si aprì del tutto, restando incastrato. Era aperto a sufficienza per farci passare una mano. Con un certa apprensione infilò la destra in quell'antro buio. Toccò in giro, con la punta delle dita. Riconobbe immediatamente al tatto il contenuto del cassetto. Fotografie. Ne pescò due a caso. Le guardò, alla luce della candela.
C'era una foto della sua infanzia: avrà avuto tre o quattro anni, ed era in braccio alla sua nonna materna. L'altra foto era dei tempi del liceo, e la ritraeva in compagnia di Eleonora, la sua amica del cuore in quegli anni.
Notò una particolare analogia. In entrambe le immagini lei guardava l'obiettivo sorridente e spensierata, mentre la persona che era con lei le si rivolgeva con sguardo molto serio e preoccupato, quasi come per darle un avvertimento.
Ma le venne in mente subito un'altra analogia tra le due foto. Le si accapponò la pelle. Entrambe le persone che erano con lei in quelle due foto erano morte. La nonna, per naturali ragioni di età. Eleonora, vittima di un terribile incidente d'auto, a venti anni. Ebbe l'impressione che attraverso quelle foto le due persone amate, o i loro fantasmi, cercassero disperatamente di mandarle un segnale, un messaggio, un avviso. Un monito dall'oltretomba. Si sentì terrorizzata. Avrebbe potuto verificare pescando una terza foto, ma non ne ebbe il coraggio.
La sua attenzione fu attratta da un tavolo più alto degli altri. Solenne, imponente, quasi fosse un altare. Sul ripiano giaceva un libro. Un grosso libro antico. Il cuore di Alessia batteva forte. Temeva altre brutte sorprese, ma sapeva che non poteva evitare di andare a vedere cosa c'era scrtitto dentro quel libro. Indubbiamente conteneva qualcosa di importantissimo per lei.
Si avvicinò lentamente, facendo luce con la candela. Il libro era chiuso. Sulla pesante rilegatura in pelle erano incisi in bella grafia il suo nome e cognome. Con la mano destra tremante, mentre la sinistra continuava a tenere la candela, Alessia prese a sfogliare quel libro.
Non c'era scritto niente.
Pagine vuote si susseguivano una via l'altra, mentre Alessia continuava imperterrita a sfogliare, meticolosamente, una pagina alla volta, senza saltarne nessuna. La carta era vecchia e su ogni foglio si erano create irregolari macchie giallastre. Continuava ad osservare con attenzione, quasi ipnotizzata dal susseguirsi incessante di pagine vuote. Le macchie si animarono. Sotto la luce incerta della candela cominciarono ad assumere i contorni orrendi di minacciose creature infernali. Alessia ebbe l'impressione che stessero volutamente cercando di spaventarla, per indurla a desistere. Quasi come se a forza di sfogliare pagine vuote stesse finalmente arrivando a qualcosa di importante. Le figure erano sempre più mostruose e spaventose, ma Alessia riusciva a reprimere l'istinto di scappare via, continuando a sfogliare, sempre una pagina per volta, con religiosa attenzione, quasi come se saltarne una le avesse scatenato contro chissà quale oscura nemesi.
Arrivò alla metà del libro. Nel paginone centrale c'era finalmente scritto qualcosa. Era una sola parola, vergata a mano con inchiostro nero, scritta a caratteri grandi, sino ad occupare entrambe le facciate. Alessia la lesse.
Sentì i capelli rizzarsi in testa e un brivido gelato lungo la schiena. Alessia non capiva che senso avesse, e ancor meno riusciva a capire la propria reazione spaventata. Ma continuava a sentirsi scossa, turbata. Forse, pensò, c'è qualcosa nelle pagine successive che può aiutarmi a capire.
Una voce interiore le diceva che non doveva farlo. Che aveva letto quello che doveva, e ora non le era concesso scavare ancora. C'erano dei limiti che non poteva permettersi di infrangere. Ma il suo carattere testardo e la sua curiosità ebbero la meglio. Allungò la destra, per girare pagina ancora una volta.
Si accorse subito che la sensazione tattile era diversa. Quella che che sentiva sotto i polpastrelli non era più carta, ma pelle umana, carne umana. Tuttavia non fece in tempo a fermarsi. Con le unghie aveva causato uno squarcio, una ferita. Dal libro salì una specie di grottesco lamento, mentre sulla sua mano cominciava a fluire un liquido denso, caldo, dall'odore intenso e caratteristico. Sangue.
Alessia non riuscì a reprimere un grido di orrore nel vedere la sua mano intrisa e gocciolante. L'istinto di fuggire ebbe il sopravvento. Non aveva più nessuna voglia di esplorare quel luogo terribile, fosse o meno una proiezione del proprio inconscio o di qualsiasi altra cosa. Voleva tornare... ma tornare dove? Da dove era venuta? Come poteva uscire da lì?
Individuò un corridoio che si apriva alla sua destra, e lo imboccò, senza starci troppo a pensare. Camminava in fretta, col respiro affannato. Perché, si chiese. In fondo non mi insegue nessuno. Si fermò, tese l'orecchio, temendo per analogia di tornare a sentire i passi minacciosi dell'uomo sfregiato che la inseguiva.
Silenzio totale.
Ma il corridoio era lo stesso. Ne ebbe la riprova quando si trovò di fronte alla stessa grossa porta. Il cuore le batteva forte. Cosa ci sarà dall'altra parte? Avvicinò tremante la mano, ancora sporca di sangue, verso la maniglia. Il contatto, la volta precedente, aveva fatto scattare le urla atroci della donna. Alessia sapeva che sarebbe impazzita per il terrore se fosse successo ancora.
Esitò, a pochi millimetri di distanza. Poi fece un respiro e col cuore in gola afferrò la maniglia. Era tesa come una corda di violino.
In quel preciso momento esplose un lampo, poi subito dopo un tuono assordante. La luce e il rumore la colsero del tutto alla sprovvista. Urlò terrorizzata. Si ritrovò seduta nel suo letto, con le mani sulla faccia, in un bagno di sudore freddo. "Oh, mio dio!" piagnucolò.
Impiegò qualche secondo per tornare in sé, mentre fuori la pioggia era tornata a scrosciare con violenza. Il temporale era ripreso.
Allungò una mano al suo fianco. L'altra parte del letto era fredda e vuota.
"Angelo?" chiamò. "Angelo?" ripetè con voce più forte.
Si accorse, con apprensione, di essere sola. Ricordò che Angelo era uscito per spegnere l'antifurto dell'auto. Non è ancora tornato? Ma quanto ho dormito? Cercò a tentoni l'interruttore dell'abat-jour sul comodino al suo fianco. Provò ad azionarlo, ma inutilmente. Deve essere saltata la luce per il temporale, si disse.
Era spaventata. Quel buio fitto intorno a lei la atterriva. Forse anche per la suggestione dell'incubo da cui era appena uscita. Devo stare calma, si disse. E' tutto sotto controllo. Angelo tornerà, la corrente tornerà. Devo solo aspettare e stare tranquilla.
Provò a rilassarsi. Non era facile. Persino l'idea di riaddormentarsi non era affatto così invitante, vista l'alta probabilità di tornare in quell'incubo. Perché Angelo non torna?
Poi un pensiero la colpì. La luce è saltata. Ce la farebbe Angelo a ritrovare la camera al buio? Probabilmente no. Forse è giù al piano terra, vicino all'entrata, e non sa come fare. Può solo aspettare che torni la corrente. L'idea di restare ancora sola, nel buio, in attesa per non si sa quanto, non le sorrideva per niente. Dovrei andargli incontro, si disse, con qualcosa che possa far luce. Una torcia elettrica, per esempio. Oppure delle candele. Ma dove le trovo?
Le venne un'idea. Si alzò dal letto, cercò a tentoni la sua borsa, ne estrasse il suo smartphone e lo accese. Dal display si diffuse intorno un certo chiarore. Non sufficiente però a farla andare a zonzo di notte al buio in quel castello. Aprì allora il browser del telefonino, che si sintonizzò subito sulla classica home page di Google, quasi completamente bianca. Puntò lo schermo davanti a sé. Ora il chiarore era nettamente più intenso. Potrebbe bastare, pensò.
* * * * *
Alessia rabbrividì. Sentiva freddo, molto freddo. Sopra il completino intimo color rosso bordeaux, provocante e raffinato, portava un accappatoio di spugna dello stesso colore che si era portata con sé per il viaggio. L'aveva indossato sperando che almeno un po' la riparasse, ma il freddo intorno a lei era intenso, e sotto era praticamente nuda.
Fuori, nel buio della notte, oltre lo spessore massiccio delle mura, la tempesta continuava a scatenarsi rumorosamente: pioggia, grandinate a intermittenza, tramontana che ululava facendo vibrare le vetrate e cigolare gli infissi delle finestre. Alessia avanzava con prudenza. La luce elettrica non era tornata, e l'escamotage di farsi luce con il display del cellulare la aiutava sempre meno man mano che la batteria si esauriva. Non aveva previsto che potesse scaricarsi così in fretta.
Si era persa. Aveva trovato delle scale ed era scesa sino al pian terreno, per poi addentrarsi nel buio alla ricerca della porta d'ingresso. Non l'aveva trovata. E non era nemmeno sicura di essere al pian terreno. Aveva l'impressione di esser discesa più di quanto dovesse. Non aveva contato i piani. La scala, lo ricordava bene, terminava al pian terreno. Ma forse non era scesa dalla scala giusta. E comunque non riusciva più a trovarla, nemmeno per cercare di tornare indietro nella propria camera. Nel proprio letto caldo, che ora rimpiangeva, maledicendosi per la scelta sciagurata di avventurarsi da sola nel buio.
Come se non bastasse, provava una certa agitazione interiore per le palesi somiglianze della sua situazione presente e quella degli incubi che aveva avuto in quella nottata maledetta. Persa nel castello, nel buio e nel freddo, mezza nuda, col temporale di fuori e nemmeno la più vaga idea di dove si trovasse e dove dovesse andare.
All'improvviso il bagliore accecante di un fulmine illuminò a giorno l'ambiente intorno a lei, seguito immediatamente dal furioso rombo di un tuono. Alessia rabbrividì, ma cercò di approfittare dell'attimo di luce per provare ad orientarsi. Non aveva avuto modo di capire dove fosse, ma aveva intravisto l'imbocco di un corridoio alla sua destra, e decise di dirigersi in quella direzione. Sul display del cellulare continuava a comparire il riquadro scuro con la scritta che implorava disperatamente l'utente di collegare il terminale al caricabatteria. Ancora pochi secondi e sarebbe stata nel buio più totale.
Il corridoio finì. Davanti ad Alessia si presentò una porta. Non era così massiccia e solenne come quella dei suoi sogni, ma l'analogia della situazione era sin troppo evidente ed inquietante. Sulla porta, all'altezza dei suoi occhi, una normalissima piccola insegna metallica con la scritta "Privato". Alessia fece appena in tempo a leggerla, poi il suo smartphone esalò, con un curioso suono elettronico, l'ultimo respiro, lasciandola del tutto al buio. Provò a riaccenderlo, inutilmente, poi con rabbia e rassegnazione lo ripose in una tasca.
Si accorse che da sotto la porta filtrava una fievole luce. Si sentiva qualche rumore. C'era qualcuno. Ma non sapeva se interpretarla o meno come una buona notizia. Esitò a lungo, bloccata più dalla suggestione degli incubi che aveva avuto che dal divieto scritto sull'insegna. Poi si rese conto che non aveva alternative. Non poteva tornare indietro, né restare lì ferma tutta la notte.
Col cuore che batteva veloce, afferrò la maniglia, la ruotò, spinse in avanti.
"Vieni, Alessia. Ti stavamo aspettando" disse una cupa voce maschile.
Due braccia virili la afferrarono e la strinsero, bloccandola. Rimase gelata dalla sorpresa e dal terrore. Qualcuno le porse un bicchiere alla bocca.
"Bevi, Alessia. Ti sentirai meglio."
Presa del tutto alla sprovvista, Alessia bevve. L'acqua nel bicchiere aveva un sospetto retrogusto dolciastro. Si chiese con apprensione cosa ci fosse dentro.
Intanto cercava di guardarsi intorno, per capire dove fosse finita, chi fossero quelle persone.
Era in una specie di piccolo vestibolo semibuio che dava accesso a due stanze dalle quali proveniva una luce fioca e tremolante. Gli uomini intorno a lei portavano un cappuccio nero che ricopriva tutta la testa. I fori all'altezza degli occhi erano tagliati in senso obliquo, conferendo ad ognuno di loro un'aria demoniaca e minacciosa. Erano in quattro. Avevano il torso nudo, e indossavano pantaloni di pelle nera attillati, dalla vita in giù. A qualche metro di distanza c'erano quattro donne, anche loro mascherate e vestite di pelle nera. Minigonne, top, stivali con tacco a spillo. Insieme a loro c'era... Angelo!
Era completamente nudo, con le mani dietro la schiena come se fosse legato. Sembrava sconvolto e spaventato. Le quattro donne gli stavano attorno vigili, come guardie con un condannato al patibolo.
"Angelo!" invocò.
"Alessia, tesoro..." le rispose lui con voce rotta dall'apprensione. "Siamo nelle loro mani... Dobbiamo fare come dicono loro... Senza opporci... Non ci sono altre possibilità... E' l'unico modo per uscirne..."
"Ma... come..."
Non ci fu modo di fare domande. Le donne afferrarono suo marito e strattonandolo con decisione si diressero verso una delle due stanze adiacenti. Da dietro la spalla Angelo riuscì a mandarle un'ultima raccomandazione. "Non ti ribellare, Alessia... Obbedienza... Obbedienza..."
Obbedienza.
Ascoltare quella parola la scosse nel profondo.
La porta si chiuse alle spalle del piccolo corteo. Era rimasta sola, impaurita, con i quattro uomini mascherati che le stavano intorno come gatti randagi affamati con un canarino rimasto impigliato in un ramo.
Uno di loro le arrivò alle spalle e le sfilò l'accappatoio.
Non ebbe il coraggio di opporre la minima resistenza, pur rendendosi conto subito che quello era un punto di non ritorno. Sapeva bene che il suo corpo era un bocconcino abbastanza prelibato per i gusti maschili. E, come se non bastasse, l'intimo supersexy che indossava costituiva un invito sin troppo esplicito e sfacciato.
"Non... non fatemi del male..." disse loro con voce tremante. "Farò... tutto quello che volete... Non intendo ribellarmi... Sarò... obbediente..." .
Gli uomini non sembrarono particolarmente colpiti da quelle parole, ma la tensione che aveva attanagliato Alessia sin da quando aveva varcato quella porta, cominciava gradualmente a stemperarsi, sostituita da una strano senso di fatalistica rassegnazione. Valutò quali sarebbero state le inevitabili conseguenze della sua resa esplicita e scoprì con sorpresa di provare meno orrore di quanto si sarebbe aspettata. Era immersa in una sorta di languido distacco. Avvertiva addirittura un vago senso di eccitazione. Forse la droga che le avevano fatto bere cominciava a fare effetto.
Cominciò a covare il tranquillizzante sospetto di essere di nuovo in un sogno. Nella sua assoluta assurdità la situazione aveva qualcosa di stranamente familiare, come un déjà-vu, e ciò accentuava la senzazione di irrealtà. Era sola, nuda, alla totale mercè di un gruppo di uomini evidentemente intenzionato ad abusare di lei. Non aveva mai vissuto, nemmeno lontanamente, nulla del genere. Ma era esattamente la sua fantasia erotica preferita, la più ossessionante, la più ricorrente, e non doveva certo fare oscure ricerche oniriche nel proprio inconscio per saperlo. Anche se non lo aveva mai rivelato a nessuno. Forse ad Angelo, una volta, di sfuggita, molto tempo prima, le sembrò di ricordare, ma non ne era affatto sicura.
Fu quasi automatico per lei decidere di adeguarsi e quindi di comportarsi come faceva in quelle sue fantasie intime che la facevano vibrare nel profondo. Sottomettersi in modo totale. Accettare qualsiasi sopruso e umiliazione. Essere docile e servile coi propri aguzzini. Compiacerli con adorazione e abnegazione.
"Farò tutto quello che volete..." ripetè, con maggior convinzione, e percepì l'eccitazione che cresceva. Si accorse di fremere nell'attesa che qualcosa cominciasse a succedere. I quattro invece apparivano calmi e impassibili. Non sembravano avere alcuna fretta. La loro maschera nera nascondeva ogni espressione.
"Vieni con noi" disse poi uno di loro.
Entrarono nell'altra stanza. Era una sala molto ampia, arredata con oggetti misteriosi che Alessia non riuscì a distinguere. Alcuni candelieri ne illuminavano un lato, in cui erano situati un divano e due poltrone, piuttosto spartane, disposte a semicerchio intorno a un tappeto. Il resto della stanza era in penombra, o quasi totalmente al buio, e Alessia non vedeva cosa ci fosse. Poteva appena intuire la presenza di strani manufatti, oscuri macchinari. Quasi sicuramente erano esotici strumenti di tortura. Le tornò in mente il grido di terrore della donna dietro la porta, ed ebbe paura. Si sentì ancora più giustificata nella sua decisione di sottomettersi totalmente. Non voleva dar loro la minima ragione per ricorrere "alle cattive".
Gli uomini si strinsero intorno a lei. Mutandine e reggiseno volarono via in un attimo, lasciandola vestita delle sole autoreggenti. Mani rudi e forti cominciarono ad accarezarla e a palparla. Il viso, i capelli, il collo, le spalle, la schiena, le cosce, il ventre. Sembravano evitare volutamente le zone intime, malgrado lei avesse allargato docilmente le gambe, offrendosi. Non era una forma di rispetto, la loro. Semmai un sottile supplizio. Si aspettava di sentirsi strapazzare il seno e strizzare i capezzoli. Si aspettava dita invadenti che esplorassero il solco del culo. Si aspettava mani sprezzanti tra le cosce, da bagnare con la propria crescente eccitazione.
Non fu accontentata. Una di quelle mani si posò sulla sua testa e premette delicatamente verso il basso. Accolse prontamente l'invito e si inginocchiò. Quasi all'unisono i quattro estrassero il cazzo dai pantaloni. Lo spazio aereo davanti al suo viso divenne improvvisamente affollato. Si ritrovò accerchiata da minacciosi siluri di carne. Ne fu atterrita. La sua bocca era pronta ad offrirsi, ma quella era tanta roba, troppa roba, per quel piccolo e tenero pertugio.
Cominciò a freneticamente a leccare e succhiare alla rinfusa intorno a sé, ma presto si sentì frustrata. Aveva tutte le intenzioni di fare la brava, di assecondarli, di obbedire, di impegnarsi al massimo per il loro piacere. Ma così proprio non ce la faceva. Ogni volta che si dedicava frettolosamente a uno di loro aveva l'impressione di trascurare colpevolmente gli altri tre. Il continuo accalcarsi di grosse cappelle impazienti nei pressi della sua bocca, davanti al suo naso, contro le guance, le metteva ansia.
Avrebbe voluto avere quattro... anzi otto.. otto bocche, e sedici lingue, per servirli tutti adeguatamente. Per un momento pensò di aiutarsi con le mani, ma un gesto secco di uno dei quattro le fece capire che non era cosa gradita. Faceva l'impossibile per distribuire in modo equanime i propri sforzi, al fine di non trascurare e non indispettire nessuno. Ma le sembrava che in questo modo finisse per scontentare tutti. Era sempre più convinta che dietro l'impenetrabile cappuccio nero ognuno di loro sbuffasse di rabbia e insoddisfazione. L'avrebbero punita severamente per la sua inettitudine, pensò Alessia, sforzandosi inutilmente di moltiplicare l'impegno.
Uno dopo l'altro gli uomini si allontanarono da lei. Pessimo segnale. L'ultimo dei quattro indugiò ancora qualche secondo a farsi servire dalla sua bocca. Poi le appoggiò una mano sulla fronte e la spinse via, brusco.
Restò sola in ginocchio sul pavimento, preoccupata. Cosa mi faranno, ora? Il terrore di subire qualche dolorosa punizione non la abbandonava. I quattro si erano tolti i pantaloni e si erano seduti sul divano e sulle poltrone. La guardavano impassibili, in attesa. Tutti e quattro nudi con il fallo eretto bene in vista tra le gambe.
Doveva cogliere l'implicito invito o aspettare passiva che arrivasse qualche loro ordine? Preferì spezzare quell'attesa angosciante. Come una gattina incerta percorse carponi lo spazio che la separava dalla poltrona più vicina, e si accucciò tra le gambe pelose dell'uomo che la occupava. Cercò di cogliere qualche segnale di incoraggiamento o di diniego, ma lui rimase impassibile e muto. Chinò la testa verso il cazzo e iniziò timidamente a sfiorarlo con la lingua, chiedendosi agitata se fosse quello che si aspettavano da lei. Non ci furono obiezioni. Acquisita maggiore confidenza, lo imboccò e iniziò a far scorrere lentamente le labbra lungo l'asta. L'uomo sembro gradire e Alessia intensificò l'impegno.
Dopo qualche minuto l'uomo l'uomo la afferrò per i capelli e le fece cenno con la testa che era il momento di passare al collega al suo fianco. Alessia obbedì docile, spostandosi carponi, per poi mettersi subito al lavoro. Cominciava a sentirsi un po' più a suo agio. Se non altro sapeva cosa dovesse fare e sapeva di saperlo fare. Era finalmente libera dal terrore di provocare risentimento in chi si sentisse trascurato e rinfrancata dal fatto di potersi dedicare ad uno di loro per volta. Appena la paura allentò la morsa, la sua eccitazione tornò a crescere. Quella situazione era tremendamente intrigante. L'atteggiamento freddo e autoritario dei suoi quattro padroni, i modi spicci e brutali con cui le ordinavano di spostarsi dall'uno all'altro, la silenziosa indifferenza con cui si facevano servire oralmente, alimentavano la sensazione di calore che la pervadeva. Decise di non reprimersi. Trovava morbosamente stuzzicante l'idea di mostrare a ognuno di loro quanto fosse sottomessa e obbediente nell'atteggiamento, abile e creativa nella tecnica, adorante e porca nella passione che ci metteva. Sospiri e mugolii iniziarono a echeggiare tra le pareti di pietra come musicale contrappunto ai rumorini di suzione che produceva.
Con il succedersi dei giri, Alessia gradualmente aveva preso confidenza con ognuno dei quattro esemplari. Mentre i loro padroni mascherati erano pressoché indistinguibili l'uno dall'altro nella penombra della stanza, gli organi virili erano perfettamente riconoscibili potendoli osservare a distanza ravvicinatissima. Ognuno aveva una particolare forma, un particolare profilo, una propria individualità. A differenza dei rispettivi proprietari, loro, per così dire, si facevano "guardare in faccia". Inoltre, sempre a differenza dei loro padroni che continuavano ad apparire impassibili, i cazzi mostravano di reagire benissimo alle lusinghe di Alessia, accentuando la turgidità, pulsando, vibrando, regalandole gocce abbondanti e saporite di liquido trasparente preseminale.
Ad Alessia piaceva, ogni volta che passava dall'uno all'altro, rinnovare la conoscenza con ognuno di loro. Li sentiva riprendere prontamente il massimo della rigidità ai primi sapienti contatti orali. Li rendeva di nuovo ben lucidi di saliva. Riscopriva ogni volta rilievi ed avvallamenti che li caratterizzavano e li ripercorreva meticolosa con le labbra e con la lingua. Individuava le diverse sfumature di odore e di sapore che ognuno trasmetteva. Riconosceva la diversa sensazione che ognuno le donava quando se ne riempiva la bocca sino in fondo.
Erano quattro esemplari stupendi, e Alessia ne era davvero ingolosita. Tutti ben fatti e ben messi come dimensioni. Uno dei quattro, poi, era visibilmente più grosso degli altri tre e Alessia lo trovava bellissimo e irresistibile. Lungo e massiccio, ma ben proporzionato, aveva un leggero inarcamento verso l'alto che gli conferiva un aspetto superbo e slanciato. Dava l'impressione di offrirsi all'adorazione di Alessia con una sorta di altero distacco, come quello di una dama avvenente che si presta distratta e annoiata al baciamano dei suoi pretendenti. Ma poi rispondeva benissimo alle appassionate effusioni orali, assumendo una turgidità vibrante ed elastica che per lei era deliziosa da percepire tra le labbra, contro la lingua, nelle fauci. L'orifizio sulla sulla sommità del glande era sempre generosamente umido, per quanto lei si industriasse a ripulirlo continuamente con la lingua. Ogni volta che il giro la riportava da lui Alessia non si nascondeva di provare un'emozione particolare. Senza nulla voler togliere agli altri tre, che erano comunque materiale di primissima scelta.
Anche Angelo aveva un gran bel cazzo, niente da dire. Ma non poteva competere, per dimensioni, con nessuno dei quattro. Alessia pensò al marito con un po' di senso di colpa. Certo, era stato lui stesso ad invitarla ad essere docile ed obbediente. Ma non era affatto sicura che avrebbe gradito tutto il deliziato entusiasmo che ci stava mettendo. Chissà cosa avrebbe detto se l'avesse vista in quel momento? Alessia pensò che non l'avrebbe mai vista. Perché, con ogni probabilità, era tutto solo un sogno. O comunque perché in questo momento lui aveva sicuramente altro cui pensare, impegnato come era a subire i supplizi da parte di quattro graziose dame che sembravano piuttosto dure e decise.
E se tra i supplizi da infliggere ad Angelo ci fosse stato anche quello di costringerlo ad assistere ai pompini appassionati e adoranti della propria moglie a quattro sconosciuti? L'altra stanza era confinante: sarebbe bastato un foro nel muro, uno spioncino, o anche una videocamera ben posizionata, adeguatamente collegata...
La possibilità la convinceva. Era tutt'altro che impossibile che Angelo la stesse guardando. Il pensiero perversamente la eccitò e le venne istintivo accentuare in modo visibile devozione e trasporto verso il cazzo che stava omaggiando in quel momento. Non le fu nemmeno difficile, visto che si trattava di quello più grosso e più bello. Del suo preferito.
* * * * *
"Ce la scopiamo?" chiese ad un tratto uno dei quattro.
"Ok. Prendo il carrello" rispose un altro, alzandosi e dirigendosi verso la parte buia della sala.
Alessia continuò a dedicarsi con impegno al cazzo che aveva in consegna, senza mostrare il minimo allentamento della concentrazione. In realtà aveva drizzato le orecchie come antenne. Dopo tutto quel leccare e succhiare la sua eccitazione era salita a livelli non più tollerabili, e l'idea di passare ad altro non le dispiaceva affatto.
L'uomo tornò trascinando con sé una specie di strano trabiccolo su ruote che gli arrivava poco sopra l'altezza delle ginocchia. Alessia strabuzzò gli occhi stupefatta. Era il "triciclo", quel curioso aggeggio a rotelle che aveva visto nel sogno, accanto alla sua biciclettina, e che non aveva capito a cosa servisse.
"Vieni qui, Alessia, da brava..."
Nel giro di pochi secondi furono fugati tutti i suoi dubbi sull'utilizzo di quello strano congegno. La fecero adagiare a pancia in giù sul ripiano centrale del trabiccolo. Lasciando liberi i seni, per non schiacciarli fastidiosamente col peso del torace, ma probabilmente anche per mantenerli in vista e disponibili ad essere palpati e smaneggiati a piacere. Le caviglie furono bloccate da ganci contro dei cuscinetti cilindrici, in modo che le sue gambe fossero piegate in avanti. Le ginocchia poggiavano contro dei supporti imbottiti che le mantenevano ben divaricate. I polsi le furono legati lungo le gambe del trabiccolo, appena sopra l'altezza delle ruote anteriori presso dei supporti trasversali con l'impugnatura di gomma che Alessia poteva stringere e utilizzare come staffe per sorreggere con le braccia il peso della parte superiore del corpo. La posizione complessiva non era troppo diversa da quella di una donna che si offre per un amplesso "doggie-style".
Dopo averla legata, uno dei quattro armeggiò con leve e manopole presenti nella parte centrale del telaio, per dare le ultime regolazioni. Alessia si sentì tirare e allargare ulteriormente. Poi l'uomo si allontanò e i quattro rimasero per qualche secondo a guardarla.
Aveva l'impressione di essere malferma ed insicura su quel congegno. Era molto leggero, e bastava che lei irrigidisse qualche muscolo o spostasse il peso da una parte o dall'altra per sentirlo leggermente oscillare. In realtà, per come era costruito era difficile che potesse ribaltarsi. La schiena era inclinata in avanti e la testa era qualche decina di centimetri più in basso del culo. Poteva muoverla, alzarla e ruotarla, per guardare in avanti e girarsi verso i lati, per capire cosa succedesse intorno a lei. Ma le braccia erano bloccate verso il basso e quel movimento le faceva tirare i muscoli del collo dopo pochi secondi. In questo modo era incoraggiata a tenere la testa verso il basso, così da accettare quello che le succedeva senza porsi troppe domande.
Con il suo corpo adagiato sopra che lo copriva, il trabiccolo quasi spariva alla vista. Fatta eccezione per le ruote e per la parte inferiore delle quattro gambe metalliche, tutto quello che si vedeva era una donna in autoreggenti, messa a culo in su, pronta ad essere presa, fluttuante nell'aria a comoda altezza di cazzo.
Alessia si sentiva aperta, oscenamente esposta. Circostanza che finiva per aumentare il suo desiderio di essere finalmente penetrata. Per il resto, la sua posizione non era così scomoda. Il peso del suo corpo era ben distribuito sui diversi punti d'appoggio. Non era una tortura. Avrebbe potuto restare in quella posizione a lungo.
Quel pensiero la portò a immaginare di essere lasciata così, bloccata sul trabiccolo, per ore. Alla mercé di una moltitidine di uomini, in occasione di una festa, di un raduno. Chiunque avrebbe potuto prenderla, trascinarla comodamente sulle ruote in qualche angolo tranquillo ed abusare di lei a proprio piacimento. Per poi tornare a parcheggiarla da qualche parte, immobile, in attesa del prossimo che volesse servirsi. Uno scenario che le diede un brivido di eccitazione.
Fu presto distratta dalle sue perverse fantasie. Uno dei quattro la agguantò brutalmente per il collo, la fece ruotare con tutto il carrello sotto di lei fino a disporla nella direzione desiderata. Poi la prese per i fianchi e la penetrò, senza troppi complimenti. In quella posizione a gambe spalancate, eccitata come era, il cazzo scivolò in lei come una lama nel burro. Alessia non trattenne un gridolino di piacere, a sentirsi finalmente riempita.
L'uomo fece i propri comodi per qualche minuto, poi si sfilò e la lanciò violentemente nel vuoto, verso un'altro lato della stanza.
Alessia urlò, stavolta di sorpresa e di spavento. Il trabiccolo scorreva senza attriti sul pavimento, sembrava quasi prendere man mano maggiore veloocità, e lei non poteva far nulla per frenarlo. Si aspettava di finire dolorosamente contro qualche muro, o contro qualche altro ostacolo.
Altre due mani maschili la bloccarono saldamente. Non si era accorta che un altro uomo si era silenziosamente posizionato da quella parte per prenderla al volo. Anche lui con un paio di rudi spintoni la orientò adeguatamente e se la sbatté contro il cazzo duro, penetrandola a fondo. Come il precedente prese il suo gusto scopandosela per un po', poi a sua volta la lanciò con forza nel vuoto, dove altre mani maschili la afferrarono.
Il gioco andò avanti a lungo. Gli uomini si spostavano lungo la stanza secondo geometrie imprevedibili, e Alessia non sapeva mai da che parte sarebbe stata lanciata. Spesso durante il tragitto il carrello ruotava su se stesso, accentuando in lei la sensazione di capogiro e di disorientamento. Ognuno si divertiva a scoprire modi estrosi e spettacolari per stopparla e per sistemarsela. Chi la tirava per i capelli, chi per un orecchio, chi per il naso, chi per una tetta. Poi, dopo averla adeguatamente piazzata, ognuno se la fotteva, più o meno a lungo, e sembrava che lo facessero apposta, i bastardi, a interrompersi e a lanciarla ad un compagno proprio quando lei cominiciava a sentir crescere il proprio piacere.
Era, in un certo senso, una scena consueta. Dovunque ci sia uno spiazzo libero, di prato, di terra o d'asfalto, capiterà sempre prima o poi un gruppo di uomini che si diverte con un pallone da calcio. Ognuno lo controlla, lo palleggia, se lo aggiusta, poi lo passa.
Lei era il pallone. Un mero giocattolo nelle loro mani. Se per una donna l'incubo, e insieme l'oscuro desiderio, poteva essere quello di sentirsi un oggetto, lei lo stava provando appieno. Se per una donna l'incubo, e insieme l'oscuro desiderio, poteva essere quello di sentirsi solo un buco, lei stava vivendo il gradino ulteriore. Era un buco con le ruote.
A un certo punto il gioco cambiò. Uno dei quatto disse a quello che la stava scopando: "Passamela qui, vediamo se fai centro"
L'uomo si sfilò, la fece ruotare di centottanta gradi, poi la spinse prendendola per le tempie. In modo deciso, ma con precisione, cercando di evitare che il carrello ruotasse su se stesso durante il percorso. Alessia, con la testa in basso, osservava dietro di sé le gambe dell'uomo verso cui era diretta.
L'uomo non l'afferrò con le braccia. La lasciò atterrare direttamente sul suo cazzo, che teneva puntato con una mano. La violenza della penetrazione le strappò un urlo. "Buca!" esclamò compiaciuto quello che l'aveva lanciata. "Ottima mira!" commentò quello che l'aveva ricevuta, cominciando a fotterla.
Andarono quindi avanti inserendo questa variante nel gioco. Non sempre la mira fu precisa, e qualche volta le capitò di sentire qualche cazzo teso urtare dolorosamente fuori bersaglio. Ad ogni lancio Alessia cercava disperatamente di aprirsi ancora di più per facilitare la riuscita. Per evitare dolorosi impatti, ma anche perché aveva scoperto che non era poi spiacevole il colpo che riceveva quando il bersaglio veniva centrato bene. Inoltre aveva l'impressione che ad ogni tiro andato a segno venisse poi scopata più a lungo, quasi come fosse un premio.
* * * * *
"Mi sembra abbastanza larga e bagnata, ormai" disse uno dei quattro mentre la stava scopando tenendola per i fianchi. "Forse è il momento di concederla al Guerriero..."
Gli altri approvarono. Alessia alzò dolorasamente il collo per guardarsi intorno e cercare di capire quale nuova prova l'attendesse.
"Vieni, Alessia" le disse tranquillo un altro, mentre le metteva una mano sul culo e la sospingeva dolcemente sul carrello verso un angolo particolarmente buio della stanza. Alessia vide emergere dall'oscurità una figura imponente. Era la statua gigantesca di un soldato medievale, con tanto di armatura, e un elmo a coprirgli la faccia. Alessia rabbrividì spaventata: anche se il volto era coperto non era possibile sbagliarsi. Era lo Sfregiato che la perseguitava nei suoi incubi. E, come se non bastasse, si accorse con orrore che dal basso ventre della statua, attraverso un foro nel metallo dell'armatura, emergeva un cazzo di dimensioni assurde. Un enorme fallo, probabilmente di lattice, ma modellato in modo da sembrare vero, se non fosse per le misure esagerate.
"Ora ti beccherai il cazzo che ti meriti, Alessia. Non sei contenta?" disse divertito uno di loro, mentre un altro armeggiava con manopole e leve del trabiccolo per posizionarla all'altezza giusta. Alessia era terrorizzata. "No... vi prego... no..."
Non ci fu niente da fare. Nel giro di pochi secondi Alessia sentì l'enorme cappella, dura e fredda, premere contro l'imbocco della vagina. Gli uomini la spinsero contro quel palo lentamente, ma con decisione. Alessia urlò. Si sentì aprire in modo lacerante. Quella cappella era grande come il pugno di un uomo e stava entrando sempre più a fondo. Sempre più a fondo.
La sentì infine premere contro il collo dell'utero. Urlò ancora. Gli uomini capirono che non era possibile spingere ulteriormente, anche se c'era ancora una decina di centimetri di cazzo rimasti fuori. Uno dei quattro tornò ad armeggiare con il trabiccolo. Mosse quattro piccole leve in corrispondenza delle quattro ruote. Alessia capì che aveva messo dei freni. Ora il carrello era stabile e fermo rispetto al pavimento, anche se lei continuava a percepirlo oscillante e insicuro.
La lasciarono lì, da sola. Si ritirarono verso il divano e le poltrone. Con tutta calma presero dei bicchieri e si versarono da bere un liquore di colore ambrato. Poi, liberando dal cappuccio nero quanto bastava della parte inferiore del viso, sorseggiarono tranquillamente. Ogni tanto si giravano verso di lei, e sembravano soddisfatti di vederla immobilizzata e dolorosamente impalata su quel grosso ramo.
La situazione la umiliava profondamente. Si chiedeva amareggiata come mai gli uomini non avessero continuato ad abusare di lei come in precedenza. Era stata al gioco. Si era fatta usare. Si era data a ognuno di loro senza reprimere il proprio piacere, e senza trattenersi dal manifestarlo con gemiti e sospiri. Sembrava si stessero divertendo. Perché avevano deciso di infliggerle quella tortura atroce?
Per fortuna le pareti della sua vagina, lentamente e faticosamente, avevano cominciato ad abituarsi al diametro sproporzionato del guerriero. Il dolore aveva lasciato il posto ad un fastidio persistente, ma sopportabile.
All'improvviso, con mossa quasi distratta, uno dei quattro premette un pulsante su una specie di telecomando.
Con orrore di Alessia, la statua gigantesca si animò. Dal torace imponente pervenì un mugolio metallico e gutturale, come un lamento di protesta in qualche lingua arcaica. Tutta l'armatura cominciò a vibrare. Il golem aveva preso vita. Il cazzo enorme cominciò a muoversi dentro di lei, su e giù, come un grosso pistone. Prima lentamente, poi con sempre maggiore velocità e vigore, scuotendola tutta e facendo cigolare sinistramente il telaio del trabiccolo che la sosteneva.
La sensazione era lancinante. Alessia si sentiva sfondare, e urlava e gemeva senza freni. Ma si accorgeva che in mezzo al dolore non mancava una ruvida sensazione di piacere per lo sfregamento e la pressione sulle zone sensibili delle sue parti intime. Il contrasto tra le due sensazioni, entrambe così intense, era sconvolgente. La statua oscillava scossa dalle vibrazioni del motore interno che faceva stantuffare il cazzo, ma ad Alessia sembrava davvero che avesse preso vita; sembrava che fosse davvero posseduta dall'anima dannata di quel guerriero sfregiato, feroce e crudele, che la terrorizzava durante i suoi incubi notturni. Tornò a vedersi ancora una volta sola e seminuda nel buio del castello con lo Sfregiato che la inseguiva. Ma stavolta la raggiungeva, le strappava i capi sexy che portava, la piazzava brutalmente carponi e la stuprava spietato con un cazzo enorme e durissimo. Era esattamente quello che stava succedendo. Alessia percepiva il sapore amaro della sconfitta e dell'umiliazione. Le bruciava che il suo nemico celebrasse il suo trionfo oltraggiandola in quel modo. Ma ancora di più la indispettiva quella componente sempre crescente di piacere che provava e non riusciva a controllare. Era una sconfitta nella sconfitta, un'umiliazione nell'umiliazione. L'idea di godere dello stupro dello Sfregiato le faceva orrore. Ma l'orrore ormai era indistinguibile dall'eccitazione, come il dolore dal piacere, e l'insieme del tutto la mandava in delirio. Ormai sospirava e si agitava come un'indemoniata, non curandosi del degradante spettacolo che offriva ai suoi quattro aguzzini. Capì che era inutile resistere, e allora tanto valeva assecondare. Si era accorta che contraendo certi muscoli del basso ventre nel momento giusto della penetrazione riusciva ad accentuare lo sfregamento di alcuni punti interni particolarmente ricettivi. Non le ci volle molto per trovare il giusto ritmo, in sintonia con quello meccanico e implacabile della statua, e presto il piacere crebbe sempre più intenso, sempre più vigoroso.
Un orgasmo devastante la travolse, accompagnato da un urlo liberatorio. Per una decina di secondi si sentì scuotere tutta dalla violenza del climax. Poi tornò in sé, ma il pistonare ottuso del suo stupratore meccanico continuava indifferente ed era tornato ad essere più doloroso che mai.
"Spegnetelo!... Vi prego.... Spegnetelo!..." gridò implorante ai suoi aguzzini. Quelli esitarono per qualche lunghissimo straziante momento. Poi, mosso da pietà, ma senza eccessiva fretta, uno di loro tornò ad agire sul telecomando. La statua si immobilizzò, l'anima dannata dello Sfregiato tornò negli inferi, e il cazzo mostruoso smise di torturarla. Alessia fu sciolta dal carrello e le fu permesso di accasciarsi a terra, gemente, ansimante, con le lacrime agli occhi, ancora sconvolta dal piacere e dal dolore. Gli uomini la osservavano impassibili, dietro le loro maschere, seduti sul divano e sulle poltrone, continuando a sorseggiare di tanto in tanto il loro liquore.
Alessia cercò di sfruttare al meglio quei minuti di respiro che le avevano concesso per recuperare un po' di energia. Sapeva che non era finita. C'era ancora qualcosa che mancava in quella situazione e che sicuramente sarebbe successo, realtà, sogno o fantasia che fosse.
I quattro probabilmente la pensarono allo stesso modo, visto che dopo qualche minuto uno di loro venne a posare un oggetto sul pavimento, davanti al suo naso, dicendole: "Dai, Alessia, preparati!"
Non potevano esserci problemi di interpretazione. L'oggetto era un piccolo barattolo su cui campeggiava la scritta "Anal Lube".
Alessia aveva un atteggiamento ambiguo nei confronti del sesso anale. Nella realtà lo praticava poco e malvolentieri, malgrado le insistenze di Angelo che l'avrebbe voluta più disponibile su quel versante. Nelle fantasia invece l'idea di venire sodomizzata le scatenava l'eccitazione più accesa, ancora di più se immaginava di subire l'atto da parte di uno o più uomini rudi e dominanti.
Obbediente, aveva aperto il barattolo, che conteneva un gel oleoso. Aveva attinto con la punta delle dita e stava per cominciare ad ungersi.
"Non così, Alessia. Noi vogliamo vedere come ti prepari."
Alessia ubbidì di nuovo. Si inginocchiò sul tappeto, dando le spalle ai suoi quattro padroni. Poi si chinò in avanti, fino a poggiare la testa sul pavimento, inarcando la schiena e divaricando ancora un po' le ginocchia. Le sembrava di sentire gli occhi dei quattro puntati sul suo tenero forellino, che occhieggiava intorno, timido, ignaro di cosa lo attendesse.
Per qualche secondo ne accarezzò l'esterno con le dita unte. Poi lentamente fece entrare nel buco il dito medio. Lo lasciò scorrere tutto, fino alla base, poi prese a muoverlo, alternando penetrazioni verticali e piccoli movimenti rotatori.
Ripeté l'operazione con l'indice, poi con le due dita insieme. Con due dita il buco cominciava a tirare e Alessia sentì il bisogno di attingere ancora dal barattolo di gel. Ne approfittò per ungersi anche anulare e mignolo, sapendo che i quattro non le avrebbero fatto sconti.
* * * * *
"Sono pronta..." disse Alessia, inarcandosi ancora di più e offrendosi ai suoi aguzzini.
Aveva giocato abbastanza con le quattro dita piantate nel culo, cercando un compromesso accettabile tra l'esigenza di non farsi troppo male e quella di offrire uno spettacolo avvincente ai suoi attenti spettatori. Ormai il suo buco era sufficientemente aperto e lubrificato. Non aveva senso attendere ancora.
Improvvisamente temette di essere punita per aver osato decidere da sola il momento di passare da una fase all'altra del gioco. Forse sarebbe stato più corretto lasciare questo arbitrio ai suoi padroni. Ma non potevano essere così stronzi, si disse. In fondo si stava offrendo per farsi inculare. Di cosa avrebbero dovuto punirla?
Rimase nel dubbio, mentre sentiva i passi di uno di loro avvicinarsi alle sue spalle. L'uomo si posizionò in ginocchio dietro di lei. Poso le sue mani rudi sulle natiche e le divaricò, come per studiare meglio l'obiettivo. Ma Alessia ancora non era sicura di aver scampato la punizione.
"Cosa stavi dicendo, Alessia? Sei pronta?" La voce era calma e tranquilla, ma aveva una leggerissima intonazione ironica, vagamente minacciosa.
Alessia si sentì spaventata. Spremette le meningi per cercare di capire quale sarebbe stata la risposta giusta per evitare guai. Non ebbe nessuna particolare intuizione. L'unica strada era quella di continuare a mostrarsi sottomessa, docile, obbediente e collaborativa.
"Sono pronta... per essere inculata... se vorrete farlo..."
"Mmmmm...." replicò dubbioso lui. "E tu? Lo vuoi?"
"Io... farò tutto quello che volete..." rispose in un primo momento. Ma un gelido silenzio le fece temere che forse non bastava. "Sì... lo voglio..." aggiunse in fretta, "Voglio essere inculata..."
L'uomo esitò. Poi rispose: "Sarai accontentata" e ciò detto le mollò una sonora sculacciata sulla natica destra, facendola sobbalzare. Alessia incassò senza fiatare. Anzi, con un certo sollievo. Se l'era cavata con poco.
Tornò subito docilmente a chinarsi per offrirsi meglio e aspettò paziente e immobile mentre l'uomo si lubrificava per bene il cazzo. Finalmente lo sentì spingere. L'uomo la penetrò, usando una certa delicatezza. Alessia avvertì l'inevitabile fastidio iniziale, ma era preparata a quella sensazione e non fu troppo dura da sopportare. Gradualmente riuscì a rilassarsi e ad aprirsi meglio. Il fastidio sfumò gradualmente via, sostituito da sensazioni molto più intense.
Tutta la parte esterna era stata ben predisposta e lubrificata dal lungo diteggiare. Ma l'uomo presto si era spinto profondamente dentro di lei. Ben oltre le zone che era riuscita a raggiungere da sola con la punta delle dita. Anche oltre quelle che avesse mai raggiunto Angelo.
Proprio da lì in fondo, da quelle profondità, l'agitarsi e lo sfregare di quella cappella dura le stava regalando una sensazione inedita, una specie di caldo languore che sembrava in grado di farla sciogliere tutta. Fu inevitabile per lei abbandonarvisi e cominciare a gemere e sospirare.
"Ti piace, Alessia?" la domanda era retorica. Ma lei rispose lo stesso.
"Sì... Mi piace... E' bellissimo..."
"Eppure ti sento strettina... Sei una che non lo usa molto, vero?..."
"E' vero... non lo... uso.... molto...."
"E' un peccato che il culetto delizioso di una bella troietta come te non sia adeguatamente sfruttato... Non vedi quanto può farti godere quando lo offri con la giusta predisposizione? Se poi lo usassi più spesso sarebbe ancora più elastico e cedevole, e ne godresti ancora di più... Non sarebbe fantastico, Alessia?"
"Sarebbe... meraviglioso..."
"Stanotte noi quattro ti apriremo la strada per bene... puoi contarci... ma non può bastare per sempre. Devi prenderti l'impegno di usarlo più spesso. E' un ordine quello che ti sto dando. E' chiaro?"
"Sì... lo prometto..." rispose Alessia, sinceramente decisa ad obbedire, pensando che almeno questo era un dettaglio che avrebbe fatto piacere ad Angelo.
"Con tuo marito, ovviamente..." continuò l'uomo "... ma... se servisse... anche non necessariamente solo con lui... E' chiaro?"
"Sì... lo prometto..." rispose Alessia, pensando che forse questo dettaglio ad Angelo sarebbe piaciuto meno. Ma in quel momento trovò perversamente intrigante l'idea di una relazione con un amante da dedicare principalmente ai rapporti anali. Ci avrebbe pensato su.
* * * * *
Alessia era distrutta. I quattro uomini si erano alternati a lungo nell'incularla di gusto. Non era difficile accorgersi di quanto trovassero il suo culetto un'invitante e golosa prelibatezza. Sembravano non stancarsi mai di abusarne. Anche lei aveva goduto a lungo di qualla sensazione deliziosa di languore profondo e di come ognuno di loro fosse capace di donargliela in modo diverso. Il più grosso dei quattro, poi, era capace di farla impazzire quando la riempiva tutta dietro e si muoveva dentro di lei aprendola in modo lento e voluttuoso.
Alla lunga, però, le sensazioni piacevoli si erano andate inesorabilmente affievolendo, lasciando il posto a un sordo fastidio. Alessia continuava a sopportare stoicamente gli assalti entusiasti dei quattro, ma non ne godeva più. Persino il più grosso, che la stava sodomizzando in quel momento, non le trasmetteva più nessun brivido. Fu lui stesso il primo a rendersene conto.
"Sei stanca, vero Alessia? Ti capisco. Forse è ora di chiuderla con te."
Alessia non rispose. C'era in quelle parole un qualcosa di vagamente minaccioso, anche se erano state pronunciate con la calma indifferenza che i quattro avevano sempre usato. Restò passiva nella propria posizione, mentre l'uomo continuava a incularla ancora per un po'.
Dopo qualche secondo si tirò fuori, si stese supino al suo fianco e le disse: "Dai, vieni sopra di me."
Alessia obbedì meccanicamente. Si piazzò a cavalcioni sull'uomo, fece passare una mano sotto le gambe, gli afferrò il cazzo e ci si mise sopra. Il cazzo si insinuò morbidamente nel suo culetto lubrificato e ormai ben accogliente.
"No... non così... in figa..." disse lui. "Questo vuole essere un premio per te, per essere stata così brava..."
In figa? Alessia pensò che dopo essere stata inculata così a lungo si era quasi dimenticata di averla, una figa. Ma obbedì senza discutere e puntò la grossa cappella dell'uomo qualche centimetro più avanti. Tentò di spingerselo dentro, ma il risultatò non fu incoraggiante. Era chiusa, secca e ancora irritata dagli abusi che aveva subito in precedenza. Quella di sentirsi dentro quel bel cazzo duro era invitante come idea, ma il suo corpo era stanco, e aveva bisogno dei suoi tempi. Tentò di nuovo di spingercisi sopra, ma le faceva troppo male. Aveva bisogno di qualche minuto.
Prese la decisione. Si stese sul pavimento al fianco dell'uomo, accucciata quasi in posizione fetale con la testa sul ventre di lui, e si fece scivolare quel grosso cazzo nella bocca. Cercò subito di stimolarlo al meglio, con la lingua e con le labbra, per prevenire eventuali obiezioni. Ma confidava sul fatto che l'uomo avesse capito la situazione.
Si sentì presto rassicurata. L'uomo era rimasto in silenzio, e il cazzo sembrava rispondere positivamente alle sue stimolazioni. Allora si interruppe un attimo per portarsi in bocca l'indice e il medio della destra. Li inumidì ben bene con la saliva, e prese delicatamente a carezzarsi tra le cosce. Doveva procedere con prudenza. Sentiva di essere sensibilissima.
Continuando a tenere in bocca il cazzo dell'uomo, omaggiandolo di delicate carezze di lingua e piccole suzioni, cominciò a sfiorare e massaggiare con i polpastrelli bagnati le zone intorno al clitoride, resistendo alla tentazione di stimolarlo subito direttamente. Pian piano qualcosa tornò a smuoversi dentro di lei. Verificò con un rapido affondo del medio nella vagina. L'indagine confermò: pian piano stava tornando a bagnarsi.
Decise di concentrarsi sul cazzo, lasciando che le dita continuassero a muoversi in modo automatico intorno alle sue zone intime. Lo estrasse dalla bocca e lo guardò. Continuava a trovarlo meraviglioso, anche dal versante opposto a quello che aveva ammirato precedentemente, quando lo succhiava da inginocchiata. Leccò per qualche secondo la punta, con movimenti circolari della lingua, poi tornò a riempirsene golosamente la bocca. C'erano le tracce dei propri sapori, soprattutto quel gusto amarognolo che gli era rimasto addosso per essere stato a lungo in fondo al suo culetto.
Alessia sentì l'eccitazione tornare a crescere dentro di sé, e l'umido crescente che sentiva sulle proprie dita confermava la sua sensazione. Pensò che forse era pronta per riceverlo, e la tentazione cominciava ad essere forte. Ma decise di aspettare. Voleva che la sua voglia di sentirselo dentro aumentasse ancora.
Cambiò posizione. Si inginocchiò tra le gambe dell'uomo per avere maggior raggio di azione con la bocca, e si impose di smettere di accarezzarsi. Si concentrò tutta nel pompino, aiutandosi anche con entrambe le mani, decisa a ignorare per il moemnto i richiami della sua fighetta, che cominciava a friggere smaniosa.
Con la bocca e la lingua fece con quel cazzo le cose più porche e lascive immaginabili. Lo succhiò e lo leccò in ogni modo, se lo spinse dall'interno contro le guance, lo fece scivolare in gola, leccò e succhiò devotamente i testicoli, arrivò fino a sfiorare con la lingua l'ano scuro dell'uomo. Ogni cosa che facesse moltiplicava la sua eccitazione e la voglia di sentirselo dentro. Ma lei pervicacemente insisteva, voleva raggiungere il massimo della tensione. Ormai dalla sua vagina fluivano abbondanti lacrime di desiderio. Continuò a leccare, succhiare, succhiare, leccare. Fino a non farcela proprio più, fin quasi a scoppiare di voglia.
Solo allora tornò a cavalcioni dell'uomo. Resistette alla tentazione di impalarsi furiosamente. Il desiderio non mancava, ma sapeva di essere ancora infiammata e dolorante al suo interno. Ci si calò sopra lentamente, aprendosi pian piano. Sentiva il bruciore, ma era troppo piacevole sentirsi ben riempita da quel grosso cazzo. Cominciò a cavalcarlo, dapprima morbida e attenta. Poi, man mano che il piacere cresceva e il bruciore svaniva, in modo sempre più irruento. Da quella posizione, muovendo sapientemente il bacino, poteva dirigerlo dove voleva e come voleva. Riusciva anche a sfregare le zone sensibili esterne contro il ventre duro dell'uomo. Si accorse presto di scivolare impetuosamente nell'orgasmo e non si fermò fino a farlo esplodere.
Crollò in avanti, con il seno contro il torace sudato dell'uomo, sospirando e ansimando. Il cazzo di lui era ancora durissimo e pulsante nel suo ventre. L'uomo l'abbracciò. "Bravissima!" le disse, in tono soddisfatto. "Ma non è ancora finita..."
Le sue mani forti scivolarono in basso lungo la sua schiena, fino ad arrivare alle natiche, che afferrò e divaricò. Alessia sentì un altro cazzo entrarle nel culo fino in fondo, con un colpo deciso. Emise un urletto di sorpresa. Ora erano due i grossi cazzi nel suo ventre. Pur con tutto quello che aveva subito in quella assurda e irreale nottata, la sensazione era intensa ed estrema. Era piena sino a scoppiare di carne maschile. I due cazzi spingevano l'uno contro l'altro e in tutte le altre direzioni. Aveva la sensazione che tutti i suoi organi interni dovessero stringersi e redistribuirsi per effetto della doppia prepotente invasione. Si sentiva incredibilmente... incastrata. Era ingabbiata tra due corpi maschili che la prendevano in contemporanea, ma anche lei, in un certo senso, stava ingabbiando avidamente entrambi i loro uccelli.
Alzò un attimo la testa. Un terzo uomo si era avvicinato per porgerle il cazzo alla bocca. Lei lo accolse sensa esitazioni e se lo fece scivolare in gola arrivando con le labbra sino alla base dell'asta, fino ad affondare il naso tra i peli ispidi. Quasi volesse istintivamente ingabbiare nel suo corpo un terzo uccello e arrivare a contenere la maggior quantità di cazzo immaginabile.
Restò immobile, con i tre grossi spadoni piantati sino all'elsa dentro di sé. Non fu una scelta: davvero non poteva fare altrimenti. Fu quello nel suo culetto a cominciare delicatamente a muoversi nel meato reso strettissimo dalla pressione del "vicino di casa". Ogni piccola vibrazione la scuoteva tutta.
Intanto l'uomo nella sua bocca aveva posato entrambe le mani intorno alla sua testa per tenerla ferma e aveva cominciato a ondeggiare il bacino per scoparla nel cavo orale come se fosse stato qualsiasi altro buco. Ogni tanto, con qualche affondo più deciso, tornava a superare con la cappella le colonne d'ercole dell'epiglottide. Dopo qualche disagio iniziale Alessia aveva capito che per non innescare il riflesso di tossire doveva restare rilassata e passiva. Lasciare quell'uomo libero di scoparle la gola a suo piacimento.
L'uomo nel suo retto intensificò i colpi e fu il primo a venire. Si tirò fuori poco prima dell'orgasmo e menandoselo con le mani schizzò il suo seme sulle sue natiche e sulla sua schiena. Ma Alessia non ebbe ragioni di soffrirne la mancanza, perché il quarto uomo, che era rimasto temporaneamente fuori dal gioco, prese immediatamente il suo posto, cominciando subito a incularla con ritmo deciso.
Fu il tizio nella sua bocca il successivo a raggiungere l'orgasmo. Anche lui si staccò all'ultimo momento. I suoi fiotti di sperma la colpirono ripetutamente sul viso, sul collo e sui seni. Ancora qualche minuto e fu il turno del secondo uomo che la stava inculando. Lui non si tirò indietro, anzi affondò dentro più che poteva, irrorandola nel profondo del pancino con il proprio seme caldo. Alessia si sentiva piena di sperma, addosso, dietro, davanti, dentro.
Si ritrovò di nuovo sola con il più grosso, che era rimasto a lungo fermo dentro di lei, approfittando dello stimolo indiretto di quelli che la prendevano nell'altro buco per mantenersi duro e teso.
"Ora è il mio turno" disse lui "e ti voglio tutta per me".
Senza tirarsi fuori da lei, la ribaltò sulla schiena, cominciando a scoparla da sopra.
Fece uno stranissimo effetto ad Alessia essere presa nella posizione più classica, più naturale, più canonica, più innocente. Era come se fosse una ulteriore umiliazione, un'ulteriore violazione, il fatto di venir presa anche in questo modo così intimo, così confidenziale. Dopo averle fatto subire le sevizie più estreme, aveva l'acre sapore dello scherno che ora la scopassero come si fa con una fidanzatina o una mogliettina adorata.
Accettò docile anche questo estremo sfregio e si concesse totalmente, traendone un ulteriore perverso fremito d'eccitazione. Anche perché quel tizio la stava scopando divinamente. Ci sapeva fare davvero con quel grosso arnese. Gestiva benissimo i ritmi, l'intensità, le variazioni. Era attento ai suoi segnali. Capiva come doveva muoversi per farla godere di più.
Alessia se ne rese improvvisamente conto. L'uomo non stava cercando egoisticamente il proprio orgasmo. Non stava squallidamente utilizzando un buco. La stava possedendo come donna. La stava prendendo, forse... amando... come donna. I suoi colpi erano profondi e vigorosi, ma anche... controllati... attenti... rispettosi. Come le dita di un maestro di pianoforte, che così come sanno essere leggere e delicate, sanno al momento giusto essere anche dure e picchiare forte sui tasti, e non è mai un picchiare duro fine a se stesso ma sempre funzionale alla magia della composizione.
E c'era di più. Mentre la "suonava" magistralmente, l'artista sembrava estasiato dalla qualità dello strumento, dalla perfezione della risposta tattile dei tasti, dalla purezza dei suoni, dall'eleganza delle finiture, da tutto. In qualche modo l'uomo stava manifestando ammirazione... attrazione... amore? No... forse "amore" era troppo... ma perlomeno che era colpito da lei, che l'apprezzava come donna e che era felicissimo di... far l'amore? No... forse "amore" era troppo... ma perlomeno che gli piaceva moltissimo scoparla anche in quella posizione così intima.
Da dietro i fori della maschera nera, Alessia vedeva gli occhi di quell'uomo che la scrutavano intensi. Come poteva trovarla bella, si chiese disperatamente, in quelle condizioni? Era struccata, spettinata, sudata, sfatta, sporca di sperma appiccicoso dovunque... E come poteva trovarla degna di ammirazione come donna, quando davanti ai suoi occhi si era degradata e umiliata in modo così totale, perdipiù godendone sfacciatamente e senza vergogna?
Eppure lui continuava a manifestarle tutto questo. E continuava a scoparla con decisione e delicatezza, con intensità e rispetto, con vigore e attenzione. Alessia si sentiva impazzire. Ne era commossa quasi alle lacrime, e insieme ne stava godendo immensamente. Decise che aveva voglia di darsi a lui, di essere sua, di sentirsi sua, il più possibile. Pensò di nuovo al suo Angelo ("Quante corna ti sto mettendo stanotte, amore mio!"), ma fu un pensiero assolutamente fugace.
Avrebbe tanto voluto regalare a quell'uomo la soddisfazione di portarla di nuovo all'orgasmo. Non per una mira egoistica, proprio come un omaggio per lui. Un modo per sottolineare quanto le fosse piaciuto quel momento, quanto si fosse sentita davvero "sua". Ma dubitava che ci sarebbe riuscita. Si sentiva del tutto esaurita.
Decise che valesse la pena almeno provarci. Si concentrò sull'uomo le stava donando tanto piacere. Non poteva vederlo in viso, ma dal collo in giù era sicuramente ben fatto. Tonico, atletico, asciutto. Bello. E aveva quel cazzo stupendo, che tanto le piaceva sentirsi in bocca, e che ora la stava scopando divinamente. Il piacere salì ancora. Ma l'orgasmo sembrava ancora irraggiungibile.
Provò a dire qualche frase ad alta voce, per alimentare ulteriormente l'eccitazione. Non usò un frasario volgare. Il momento era troppo carino e delicato per deturparlo.
"Sei fantastico... mi piace come mi prendi... sei divino... mi fai impazzire..." gli sussurrò, guardando i suoi occhi intensi attraverso i fori.
"Sei una donna unica, Alessia..." le sussurò lui, da dietro la maschera, con un tono dolce totalmente inedito. Il piacere salì ancora. L'orgasmo era lì, a pochi centimetri, ma ancora irraggiungibile. Serviva ancora qualcosa.
"Vorrei.... Vorrei tanto... baciarti..." gli disse Alessia, senza pensarci troppo.
L'uomo esitò. Poi alzò la parte inferiore del cappuccio, come faceva quando beveva il liquore, scoprendo solo la bocca. Lentamente vennero alla luce due belle labbra carnose. Alessia ebbe un brivido. Le ricordavano quelle del ritratto nel quadro dei suoi incubi. Con la differenza che quelle erano atteggiate a una smorfia antipatica e sprezzante, queste erano piegate in un sorriso adorabile. Fu solo una rapida suggestione, che dimenticò in fretta. Quelle labbra si posarono sulle sue, e scoccò un bacio appassionato, mentre l'uomo riprendeva a muoversi voluttuosamente dentro di lei.
Era quello che mancava. Il piacere e il calore crebbero ancora, finché Alessia sentì ancora una volta il suo corpo risuonare nell'orgasmo, tra le braccia virili dell'uomo, con la bocca incollata alla sua e le lingue che sfregavano l'una contro l'altra. Il piacere fu intenso e dolcissimo, ma Alessia si rese subito conto di aver davvero raschiato il proverbiale fondo del barile. L'uomo stava a sua volta raggiungendo l'orgasmo e si era sfilato da lei, per porgere il glande alla sua bocca. Ebbe appena la forza di circondarlo amorevolmente con le labbra, e in un attimo ebbe la bocca invasa dai fiotti del nettare fragrante di lui. Poi tutto intorno a lei prese a girare. Lottò per restare cosciente ancora qualche secondo, per poterselo gustare bene. Era così buono, dolce, denso. Riuscì a malapena a inghiottirne una parte. Poi crollò.
Si sentì presa da una specie di vortice, sempre più veloce, sempre più veloce, fino a precipitare in un pozzo buio. Il pozzo buio di un sonno pesante, profondo, totale. E senza sogni. Se dio vuole, finalmente, senza sogni.
* * * * *
Un raggio di sole accarezzò le palpebre chiuse di Alessia.
"Sveglia, Alessia! Ma tu guarda che pelandrona! Quanto vuoi dormire? Sono quasi le nove..."
Angelo aveva spalancato le imposte. Fuori era una stupenda giornata, e si scorgeva un panorama meraviglioso delle colline circostanti. Aveva lasciato aperto anche uno spiraglio dei vetri e l'aria che entrava era freschina, pungente, ma profumata e gradevole. Alessia stirò le braccia sbadigliando...
"Buongiorno, amore mio! Come stai?" le chiese il marito, allegro e sorridente.
Alessia era ancora un po' disorientata. Nella sua mente si agitavano confusamente immagini, ricordi, impressioni. Si sintonizzò sul proprio corpo e avvertì le sensazioni di chi è reduce da recente attività sessuale. Intensa, prolungata e... varia. Indossava ancora le autoreggenti, ma gli altri suoi capi intimi sexy di color bordeaux giacevano stropicciati sul pavimento a fianco del letto.
"Bene.. Sto bene, ma... mi sento un po'... strana..." rispose.
"Beh, è stata una nottata un po' movimentata..." Angelo le strizzò l'occhio, gaio.
Alessia lo guardò, perplessa. "Angelo... So che la domanda ti sembrerà idiota, ma ... cosa è successo esattamente stanotte?" gli chiese.
"Vuoi dire che non ricordi nulla?" rispose Angelo, un po' incredulo.
"Ricordo che sei uscito per via dell'antifurto, ma poi... Non lo so... Ho avuto dei sogni strani, degli incubi... non ci capisco niente..."
"Quando sono tornato in camera tu dormivi come un sasso. Infatti ero pure un po' incazzato. Ma tu guarda questa, mi dicevo, mi aveva detto che mi aspettava sveglia... Poi quando ho spento la luce ho sentito che ti agitavi nel sonno, come fossi spaventata. Ogni tanto facevi degli urletti, dicevi frasi incomprensibili... A un certo punto però hai cominciato ad agitarti in modo diverso. Sospiravi, gemevi, come se fossi eccitata. Allora mi sono avvicinato, ho cominciato ad accarezzarti, a toccarti. Tu reagivi piuttosto bene e... abbiamo cominciato a..."
Angelo fece un gesto vago, ma il significato era chiaro. Poi continuò.
"Io non capivo se eri sveglia e ti piaceva fingere di dormire, o se davvero dormissi. Ma non volevo rompere l'incanto, parlandoti, o accendendo la luce. Era tutto così eccitante.... Guarda, abbiamo fatto di tutto, davvero di tutto, stanotte, ed è stato stupendo... E' un peccato che non ti ricordi nulla..."
Una lampadina si accese nella testa di Alessia.
"Forse è stato un attacco di sexsomnia..."
"Di cosa?"
"Sexsomnia. Ho letto qualcosa in proposito. C'è chi ne soffre in modo frequente, ma un singolo episodio può capitare a chiunque. In pratica si fa sesso nel sonno e la mattina dopo non ci si ricorda di averlo fatto. Effettivamente non ricordo proprio nulla di quel che ho fatto con te..."
"Ma tu guarda che fregatura! Ci mancava pure la sexsomnia! Uno ce la mette tutta per far divertire la moglie a letto e poi quella la mattina si è scordata tutto! Proprio stanotte, poi, che devo essere stato davvero un grande... Ti garantisco che ti ho sentita godere come non mai!"
Alessia gli sorrise. "Tu sei sempre un grande. Sei uno che a letto ci sa fare, quante volte te l'ho detto? Però stanotte... mmmm... ho il sospetto che in quei momenti io stessi sognando... Ho fatto un sogno erotico, stanotte... ma di quelli... non hai idea... peggio di un film porno! Una cosa allucinante..."
"Davvero?" gli occhi di Angelo brillavano di curiosità. "Ma tu guarda... E cosa succedeva in questo sogno? Raccontami, dai!"
Alessia sospirò. "Devi darmi un po' di tempo per riordinare le idee e rimettere insieme i pezzi. Ho ancora un tale casino in testa... Ne parleremo in macchina. Oggi abbiamo parecchi chilometri da fare. Su, vestiamoci!".
I programmi per quella mattina prevedevano la visita ad un affascinante borgo medievale che si trovava nella zona, e successivamente il pranzo in un ristorantino locale specializzato in piatti al tartufo. La bella giornata aveva riportato in entrambi l'entusiasmo per gli aspetti più turistici del loro weekend. Ma non così tanto da far dimenticare la particolare nottata appena trascorsa.
* * * * *
"... E così mi hanno portata dentro questa stanza, e lì... beh... ne sono successe di tutti i colori. Ma immagino che tu voglia conoscere tutti i dettagli morbosi e piccanti, vero?" chiese Alessia, con un tono vagamente provocante.
Angelo si mostrava tutto impegnato nella guida, impassibile dietro i suoi occhiali da sole. La stradina collinare che stavano percorrendo, piena di curve e di tornanti, richiedeva una certa concentrazione. Ma non si era perso una singola parola di quanto gli stava dicendo Alessia riguardo il suo sogno notturno.
"Ah, puoi scommetterci!" rispose. "Però... Sai che ti dico?..." aggiunse pensoso "Per il momento mi tengo la curiosità. I dettagli morbosi e piccanti sono un argomento di cui potremo parlare meglio stasera... e le prossime sere, magari... a letto... con l'atmosfera giusta... Allora vedrai, ti farò il terzo grado pur di sapere ogni minimo particolare!"
"Mmmmmm... Ok! Aggiudicato!" Replicò Alessia con un sorriso. L'idea le piaceva.
"Una cosa però voglio saperla subito. Nel complesso ti sei divertita?... Nel sogno, intendo..."
"Da morire. Non si era capito?" rispose lei, con un filo di malizia.
"Beh, non mi sorprende... Sola, alla mercè di quattro uomini rudi e spietati... Costretta ad obbedire ad ogni loro richiesta e a subire ogni abuso... Una volta mi dicesti che era una tua fantasia ricorrente. Mi sbaglio?"
"Già... Proprio così..." rispose Alessia, lanciando uno sguardo in tralice verso il marito.
"Ma tu guarda che fortuna sfacciata! Non capita mica tutti i giorni di ritrovarsi in sogno esattamente la propria fantasia erotica preferita... Magari capitasse a me, una volta..."
"E sarebbe?"
"Cosa?"
"Quale sarebbe la tua fantasia erotica preferita?"
"Ah! Farmelo succhiare in contemporanea da due belle fighe!" rispose Angelo, con convinzione. "Una mora e una bionda... wow... deve essere il paradiso..."
Alessia fece una smorfia dubbiosa. Poi cambiò discorso.
"Sai che sono proprio delle persone eccezionali i proprietari del castello? Una coppia giovane, così alla mano, disponibili, gentili, semplici... con tutto che devono essere pieni di soldi..."
"E' vero... mi risulta che lui sia un nobile... conte, marchese, qualcosa del genere... è un discendente della famiglia che abitava il castello secoli fa... Tutto il terreno intorno è di loro proprietà, saranno diverse centinaia di ettari..."
"Anche le altre tre coppie che erano ospiti nel castello ieri notte insieme a noi..." Alessia aveva lievissimamente enfatizzato il "tre". "Mi sono sembrati davvero dei tipi simpatici e carini.. anche se li abbiamo incrociati solo stamattina a colazione. Davvero un peccato essere ripartiti via subito, senza aver approfondito un po' la conoscenza..."
"Hai ragione, tesoro. Proprio un peccato..."
"Da quello che ho capito, loro sono tutti degli habitué del castello. Si conoscono bene tra di loro e coi proprietari. Potremmo tornarci anche noi, una volta o l'altra. Magari li ritroviamo lì."
"Già. Perché no? Mi sembra un'ottima idea!"
Alessia guardò il display del proprio smartphone, collegato alla presa dell'accendisigari. Era ancora solo al 20% della carica. Quella mattina lo aveva ritrovato nella tasca dell'accappatoio, con la batteria totalmente esaurita.
"Angelo, posso dirti una cosa?..."
"Prego, tesoro..."
"Sai? Io non sono così convinta che la tua fantasia preferita sia quella che mi hai detto, del pompino a due bocche... la bionda e la mora..."
"Perché no, tesoro?"
"Mmmmmm... Non so dirti esattamente il perché... ma ho davvero l'impressione che le tue fantasie erotiche siano un pochino più elaborate... come dire... un pochino più contorte e complesse...."
Angelo continuava a nascondere la propria espressione dietro gli occhiali scuri, ma un angolo della bocca gli si piegò in una smorfia sorniona.
"Tu dici, tesoro?... Mah... Chissà... Forse...."
Anche Alessia sorrise sorniona. Non si guardarono, ma entrambi percepirono l'intensa complicità che li univa.
:)
splendido...